sabato 27 novembre 2021

Giubilate o cieli di Giovanni Geraci

 28 dicembre 2021

1a domenica di Avvento- anno C 

Prima Lettura - Dal libro del profeta Geremìa - Ger 33,14-16
 
Ecco, verranno giorni - oràcolo del Signore - nei quali io realizzerò le promesse di bene che ho fatto alla casa d'Israele e alla casa di Giuda.
In quei giorni e in quel tempo farò germogliare per Davide un germoglio giusto, che eserciterà il giudizio e la giustizia sulla terra.
In quei giorni Giuda sarà salvato e Gerusalemme vivrà tranquilla, e sarà chiamata: Signore-nostra-giustizia.

 

Salmo Responsoriale - Dal Sal 24 (25)

R. A te, Signore, innalzo l'anima mia, in te confido.

 

Fammi conoscere, Signore, le tue vie,
insegnami i tuoi sentieri.
Guidami nella tua fedeltà e istruiscimi,
perché sei tu il Dio della mia salvezza. R.
 
Buono e retto è il Signore,
indica ai peccatori la via giusta;
guida i poveri secondo giustizia,
insegna ai poveri la sua via. R.
 
Tutti i sentieri del Signore sono amore e fedeltà
per chi custodisce la sua alleanza e i suoi precetti.
Il Signore si confida con chi lo teme:
gli fa conoscere la sua alleanza. R.

 

Seconda Lettura -Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicési
1Ts 3,12 - 4,2

 
Fratelli, il Signore vi faccia crescere e sovrabbondare nell'amore fra voi e verso tutti, come sovrabbonda il nostro per voi, per rendere saldi i vostri cuori e irreprensibili nella santità, davanti a Dio e Padre nostro, alla venuta del Signore nostro Gesù con tutti i suoi santi.
Per il resto, fratelli, vi preghiamo e supplichiamo nel Signore Gesù affinché, come avete imparato da noi il modo di comportarvi e di piacere a Dio - e così già vi comportate -, possiate progredire ancora di più. Voi conoscete quali regole di vita vi abbiamo dato da parte del Signore Gesù.

Dal Vangelo secondo Luca - Lc 21,25-28.34-36
 
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura e per l'attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte.

Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire su una nube con grande potenza e gloria.
Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina.
State attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso all'improvviso; come un laccio infatti esso si abbatterà sopra tutti coloro che abitano sulla faccia di tutta la terra. Vegliate in ogni momento pregando, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che sta per accadere, e di comparire davanti al Figlio dell'uomo».

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1a Avvento C - omelia

 

E’ opportuno che in questo tempo di Avvento ci facciamo n piccolo programma. Quali 

aspetti vogliamo coltivare, quali attenzioni avere? S.Paolo ci porta degli esempi: per 

Il brano di Luca che la liturgia ci propone è una breve parte di un discorso molto più ampio. Il suo scopo è di assicurare che il Signore è vicino e, in prospettiva del ritorno del Figlio dell'uomo. È una grande certezza, che è insieme giudizio e salvezza. Un giudizio severo che non ci deve spaventare ma che deve svegliarci da un certo sonno dell’anima, tanto che il Vangelo consiglia di pregare «per trovare il coraggio» di comparire davanti al Figlio dell'uomo”. Di che cosa dobbiamo preoccuparci? Sempre nel Vangelo si precisa: «Chi si vergognerà di me e delle mie parole, di lui si vergognerà il Figlio dell'uomo, quando ritornerà nella sua gloria». Il giudizio severo, dunque, è per tutti coloro che hanno preferito la via dell'egoismo, della violenza e del successo cercato a qualunque costo e con qualsiasi mezzo. Vergognarci vuol dire aver paura di essere cristiani, di essere fuori tempo, di non avere niente di bello e interessante da dire e da proporre! Il Signore risvegli in noi il sano orgoglio di essere suoi, figli amati, con il desiderio di offrire la nostra semplice testimonianza che fa del bene a noi e a quelli che incontriamo.

 

State attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita!”. Vegliate in ogni momento pregando...”.

Ecco un altro avvertimento del Vangelo! Bisogna essere attenti a noi stessi, cioè valutare bene quello che facciamo, nei nostri pensieri, nelle parole e nelle azioni… E’ più facile guardare gli altri, giudicarli con freddezza, dar giudizi pesanti e definitivi. E poi occorre “Non appesantire il cuore in dissipazioni e affanni della vita”.

Cioé non correre dietro a scelte pericolose, a vizi e abitudini che ci legano e ci imprigionano. Tutte le forme di dipendenza: alcool, gioco compulsivo che crea dipendenza e rovina se stessi e la propria famiglia, una sessualità senza regole, sganciata da un amore vero  e solo istinto.. ecc. Ognuno può valutare i possibili pericoli che lo riguardano, anche in scelte più semplici e quotidiane.

Il tempo che ci viene dato è importante e decisivo, perché ricco di occasioni dalle conseguenze importanti.

S.Paolo parla ai cristiani di Tessalonica invitandoli ad una crescita nella fede:

“Il Signore vi faccia crescere e sovrabbondare nell'amore fra voi e verso tutti…

…possiate progredire ancora di più. Voi conoscete quali regole di vita vi abbiamo dato da parte del Signore Gesù”.

 

Come cristiani non siamo chiamati solo a conservare passivi il dono della fede, ma ad accrescerlo. Quali progressi possiamo realizzare in questo tempo? La nostra vita prenderà un piega diversa e più sodisfacente!

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Cenni sulla spiritualità dell’Avvento

 

Che cos’è l’Avvento? Che spunti ci offre per la nostra vita cristiana? E’ un tempo che viene definito “forte”, cioè ha un rilievo particolare per alimentare la nostra fede sotto diversi aspetti. Proviamo a capirne alcuni.

la "corona d'Avvento"

Intanto la chiesa ci offre ogni anno l’opportunità di ritornare sullo stesso periodo liturgico. E’ una ripetizione monotona di cose già sentite che può dare l’idea, quasi, di una minestra riscaldata? Oppure si tratta di un evento ancora “nuovo”?

La chiesa, nella sua sapienza,  offre la presenza efficace del Signore che è con noi sempre, Lui Alfa e Omega, cioè principio e fine della storia umana. Presenza nei modi che Lui stesso ha voluto, tutti importanti, alcuni più degli altri. Tra questi la Parola e l’Eucarestia e i fratelli nella fede, ma non solo quelli. 

Noi crediamo che soprattutto lì, il Signore oggi ci raggiunge, ci dona la sua parola, ci plasma come credenti e ci educa ad una fede rinnovata e ad una speranza certa.

Nel tempo di Avvento noi non aspettiamo il Messia, in una sorta di rappresentazione teatrale, nella quale giochiamo a immaginarci che debba ancora venire! 

La sua venuta, infatti, è un evento irripetibile e decisivo che  ha già segnato il volto della storia, per sempre. E allora che cosa vuol dire che l’avvento è tempo di attesa?

E’ quell’ attesa che deve alimentare il nostro desiderio di incontro 

con Lui. Noi attendiamo Colui che già conosciamo ed è già venuto e vogliamo che la nostra attesa sia sempre più forte, perché mai abbiamo esaurito la nostra capacità di incontrarlo. Attendere non vuol dire essere passivi, aspettare che il tempo passi, ma vigilare perché il Signore, che è il “veniente”, ci trovi sempre pronti a cogliere i segni del suo continuo venire tra noi e la serietà della sua proposta. Perché rischiamo di perderlo di vista, di non sentirlo nostro amico e contemporaneo, ma di fare solo un ricordo, un po’ nostalgico, di un passato che non ritorna più… E’ nella preghiera personale comunitaria, che il Signore ci raggiunge e noi entriamo in dialogo con Lui.

Gesù è il compimento delle antiche attese del popolo ebraico, ed è  colui ci chiede anche  di  non dimenticare la sua venuta gloriosa alla fine dei tempi.

Il testo del primo prefazio di avvento si rivela estremamente significativo.

Al suo primo avvento nell'umiltà della nostra natura umana, egli portò a compimento la promessa   antica e ci aprì la via dell'eterna salvezza. Verrà di nuovo nello splendore della gloria e ci chiamerà a possedere il regno promesso che ora osiamo sperare vigilanti nella preghiera. 

Dice un’atra preghiera della chiesa: “Ora egli viene incontro a noi in ogni uomo e in ogni tempo, perché lo accogliamo nella fede e testimoniamo nell'amore la beata speranza del suo regno”.

la "corona d'Avvento" (partic.)

Quindi accogliamo il “nuovo” dono dell’Avvento e del Natale! 

Mi ha colpito il ritornello ripetuto da tanti, quasi come un mantra, in questi giorni ancora difficili di pandemia: “Salviamo il Natale, salviamo il Natale!”. Si vuol dire, penso: “Facciamo in modo, con comportamenti responsabili, che l’economia riprenda, che i commercianti non siano costretti a chiudere e  che l’ industria del turismo possa avere quel ritorno economico che è mancato nel periodo scorso! Bene! La gente deve pur avere quel giusto guadagno che permette di vivere con una certa serenità. Ma è tutto qui? Che cos’è il Natale salvato?

Per noi cristiani “salvare il Natale” è  farci ancora pellegrini nella fede come i pastori e i magi,  è ospitare quel Bambino nel profondo del cuore, perché ne gustiamo la presenza e il Signore nasca ancora tra noi e in noi. Se sarà così, un po’ alla volta, quel Bambino sarà come

l’ astro nascente che ci guida nelle nostre tenebre, che viene ancora a visitarci, perchè vuole essere la nostra guida. E impariamo la lezione dell’amore che si fa dono come lo è stato Lui!

E facciamoci un certo programma di Avvento! Magari senza grandi pretese, ma con coraggio e perseveranza.

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28 novembre. Domenica 1a di AVVENTO - anno C

   

Intenzioni per la preghiera dei fedeli: 

 

Ridesta la nostra speranza, Signore!

 

La vita delle nostre comunità a volta è appesantita dalla rassegnazione e dalla sfiducia. In questo tempo di Avvento, scuoti le nostre coscienze di cristiani perché leggiamo gli avvenimenti della storia con occhi nuovi e siamo vigilanti. Preghiamo...

 

La vita di tanti popoli è attraversata da problemi politici, economici e sociali. Ridona fiducia a chi vuole impegnarsi seriamente, con spirito di servizio. Preghiamo... 

 

Ci sono paesi della terra sfregiati dal terrorismo, lacerati dalla guerra. Dona successo agli sforzi degli uomini e delle donne che cercano la pace. Preghiamo...

 

Ci sono famiglie ferite da tensioni, incomprensioni e cattiverie. 

Non lasciar mancare ai ragazzi e ai giovani la fiducia e l'affetto necessari per affrontare il futuro. Preghiamo...

 

Tra di noi si trovano persone fragili e disorientate, che soffrono nel profondo. Non permettere che ignoriamo la loro fatica di vivere. Preghiamo...

 





sabato 20 novembre 2021

 

21 novembre 2021

Solennità di Gesù Cristo, Re dell'universo

Prima lettura - Dal libro del profeta Daniele- Dn 7,13-14
 
Guardando nelle visioni notturne,
ecco venire con le nubi del cielo
uno simile a un figlio d'uomo;
giunse fino al vegliardo e fu presentato a lui.
Gli furono dati potere, gloria e regno;
tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano:
il suo potere è un potere eterno,
che non finirà mai,

Salmo Responsoriale - Dal Sal 92 (93)

 

R. Il Signore regna, si riveste di splendore.

Il Signore regna, si riveste di maestà:
si riveste il Signore, si cinge di forza. R.
 
È stabile il mondo, non potrà vacillare.
Stabile è il tuo trono da sempre,
dall'eternità tu sei. R.
 
Davvero degni di fede i tuoi insegnamenti!
La santità si addice alla tua casa
per la durata dei giorni, Signore. R.

 

Seconda Lettura

Dal libro dell'Apocalisse di san Giovanni apostolo - Ap 1,5-8
 
Gesù Cristo è il testimone fedele, il primogenito dei morti e il sovrano dei re della terra.
A Colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue, che ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre, a lui la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen. Ecco, viene con le nubi e ogni occhio lo vedrà,
anche quelli che lo trafissero, e per lui tutte le tribù della terra
si batteranno il petto. Sì, Amen!
Dice il Signore Dio: Io sono l'Alfa e l'Omèga, Colui che è, che era e che viene, l'Onnipotente!

Vangelo - Dal Vangelo secondo Giovanni - Gv 18,33b-37


In quel tempo, Pilato disse a Gesù: «Sei tu il re dei Giudei?». Gesù rispose: «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?». Pilato disse: «Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?».
Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù».
Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta
 la mia voce».


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Omelia 34a B : Cristo Re. Solennità conclusiva dell’anno liturgico

 

Per tre volte Gesù dice: «Il mio Regno», e per due volte si preoccupa di chiarire che questo suo Regno è completamente al di fuori dagli schemi mondani: «Il mio Regno non è di questo mondo», «Il mio Regno non è di quaggiù». Con queste affermazioni Gesù non vuol dire che il suo Regno non riguarda il mondo e le realtà terrene. 

I cristiani non vivono in una specie di limbo e di indifferenza nella società, come se fossero estranei e fuori dal mondo e a tutto quello che accade!  Gesù intende dire che il regno di Dio, cioé la sua azione di misericordia nella storia umana, presenta un volto e una fisionomia molto distante dai regni di questo mondo e dalle scelte che li guidano. 

Gesù è davanti a Pilato: sembra sottomesso e solo vittima: in realtà  è lui che domina la scena e diventa protagonista di tutta la vicenda!

Gesù dice solennemente: «Io sono re: per questo sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità».

Nella visione di Giovanni, Gesù è Re nel momento in cui viene innalzato sulla croce. La croce, che era il segno massimo del patibolo, il più infamante e il più crudele, diventa il trono di gloria, dal quale Gesù regna e attira a sé tutti gli uomini…

Perché trono? Perché Gesù è re in quanto domina e schiaccia il peso della malvagità che ha subito, con la forza dell’amore. L’amore è la potenza che rovescia la logica della violenza. Il Signore sulla croce “vince l’odio e la vendetta è disarmata dal perdono”(Pregh. eucaristica)

 

Cristo è venuto per “rendere testimonianza alla verità”.  La verità è la manifestazione del disegno di Dio che passa attraverso Gesù. Quindi Gesù ha detto con chiarezza chi è Dio nella sua paternità, nel  suo amore invincibile per l'uomo.  Oltre l’arroganza di ogni potere, che si propone di soffocare la verità, Gesù annuncia la verità stessa di Dio. Gesù non si sottomette alla menzogna e alla falsità, alla sete di potere che umilia e degrada la persona. Così, purtroppo,  hanno mostrata la loro faccia nella storia molti regni mondani!

Nel suo dibattito con Pilato, Gesù afferma un'altra cosa importante: «Chiunque è dalla parte della verità, ascolta la mia voce». Gesù e Pilato. 

Da una parte Gesù che si consegna pienamente nelle mani della verità e non si sottrae ad essa neppure per salvarsi la vita. Dall'altra Pilato che rappresenta il potere politico che imprigionala sua coscienza. Per tre volte Pilato riconosce l'innocenza di Gesù e la dichiara pubblicamente, e per tre volte cerca di salvarlo. Tuttavia lo condanna alla croce. Di fronte all'esigenza di salvare se stesso e il suo interesse politico – o l'ordine pubblico – Pilato calpesta amore alla giustizia e alla verità.

 

Uno sguardo anche al libro dell’Apocalisse. A Colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue, che ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre…onore e gloria” Antico inno di lode a Cristo, che richiama il dono del battesimo…

Ci ama, (al presente, ora ci ama!) ci ha liberati dal peccato e ci fati parte di un regno.

Nel rito del battesimo si dice: Dio stesso ti consacra con il crisma di salvezza, perché inserito in Cristo,  sacerdote, re e profeta, tu sia sempre membra del suo corpo”.

Il battezzato è:

Sacerdote, perché chiamato a fare della nostra vita un’offerta obbediente al Padre.

Re, perché il regno di Dio, a imitazione di Gesù, appartiene a quelli che fanno della loro vita un servizio generoso.

Profeta, in quanto è reso capace di testimoniare la fede nel Signore Gesù, con le parole e con le opere.

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Venga il tuo regno, Signore!

 

Ti preghiamo per la Chiesa: Il tuo Spirito le infonda il coraggio di proclamare la verità senza paura, di rivelare il tuo volto e di denunciare le ingiustizie. 

Ti preghiamo...

Ti preghiamo per noi tutti,  cristiani responsabili nella chiesa e nella società. Rendici testimoni del regno di Dio, nell’atteggiamento del sevizio, per rifiutare ogni tentazione di potere che umilia e ci allontana gli uni dagli altri. Ti preghiamo...

Ti preghiamo per i giovani: il loro desiderio  di felicità è conservato in vasi fragili. Sostienili nel cammino della vita, insegna loro la strada della coerenza e del sacrificio di sé. Ti preghiamo...

Ti preghiamo per tutti coloro che operano nel mondo della comunicazione: non è facile essere liberi da pressioni e da intimidazioni. Rendili servitori autentici della verità, disposti a riconoscerla dovunque si trovi. Ti preghiamo...

Ti preghiamo per la nostra società, segnata da tensioni e da difficoltà.

Fa’ che cresca un profondo senso di rispetto per il bene di tutti, anche nella differenza delle opinioni  e delle scelte. 

Preghiamo...

preghiera sul Vangelo della domenica

 

Il tuo potere, Gesù, non ha nulla a che vedere con quello dei grandi di questa terra. Probabilmente ti hanno presentato a Pilato come un ribelle, come uno che pretendeva di prendere il posto dei romani sul suolo di Palestina, una bugia che aveva lo scopo di convincere il procuratore romano a condannarti senza tanti problemi.

Ma anche lui non può fare a meno di notare che sei un re davvero fuori dal comune: senza gli emblemi soliti, senza qualcuno che ti difenda,

senza propositi bellicosi, senza neppure minacce di vendetta.

Il tuo potere, Gesù, è in effetti il potere dell’ amore, che non si impone,

non ricorre alla forza, non punisce e castiga, ma piuttosto si dona,

si offre interamente, è pronto a soffrire e addirittura a morire.

 

Al di là delle apparenze il tuo potere è l'unico veramente efficace,

l’unico che resiste al tempo perché perdona e salva.

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in appendice.....


La nostra parrocchia la sera di venerdì 19 novembre, ha promosso, per iniziativa di SPAZIO APERTO un interessante incontro culturale sulla situazione in AFGHANISTAN, dopo i recenti e drammatici fatti dell'agosto 2021 e l'occupazione del paese da parte dei talebani...


il relatore Stefano Verzé

Stefano Verzé con il presidente di SPAZIO APERTO,
 Francesco Casali

il pubblico in sala...

Offriamo una relazione di Verzè sullo stesso tema (visto che non é stata possibile una registrazione dal vivo...) apparsa sul settimanale diocesano  Verona fedele del 5 settembre 2021
I contenuti della relazione di venerdì 19.11 sono stati anticipati, in sintesi, nell'articolo citato, che viene messo ora a disposizione dei lettori...
I difficili equilibri “islamici”nel nuovo Emirato Afghanistan 

 

La caotica conclusione della ventennale operazione militare in Afghanistan, sotto la guida americana e della Nato, ha segnato una grave sconfitta per l’intero Occidente. Non soltanto sul piano strategico, a causa di un ritiro che ha sancito il reinsediamento concordato del regime talebano per abbattere il quale fu organizzata l’invasione subito dopo gli attentati terroristici del 2001 negli Stati Uniti. Anche sul piano civile, per la fine improvvisa dei progressi nel rispetto dei diritti umani e nello sviluppo economico e sociale, che in parte si erano riscontrati tra la popolazione urbana. 

La parte maggioritaria dell’Afghanistan, quella più profonda e rurale, in realtà, non era mai stata toccata da cambiamenti significativi. La radicata organizzazione tribale della società ha impedito la costruzione di uno Stato vero e proprio. Lo stesso esercito afgano è nato ed è potuto esistere e funzionare solo su impulso operativo, sostegno finanziario e copertura tecnica delle forze armate americane e della Nato. 

I mali endemici della corruzione, della miseria, dell’assenza dei servizi basilari nella sanità e nell’istruzione, della segregazione delle donne, della mancanza di infrastrutture e delle contrapposizioni tribali rappresentavano fin dall’inizio una sfida proibitiva che non poteva essere vinta. In vent’anni, tuttavia, si era formata una società parallela separata, fatta di collaboratori afgani integrati con le forze militari e le organizzazioni civili occidentali, ovviamente incompatibile con la mentalità e la cultura del regime talebano e che ora rischia pesantissime ritorsioni. 

Oltre 100mila persone sono state portate in salvo in Europa e negli Stati Uniti con i massicci ponti aerei da Kabul. All’opposto le altre 200mila almeno che non sono potute partire vivono nascoste, in situazioni di grave pericolo. 

Ora, in seguito al ritiro americano, si aprono diversi scenari geopolitici, su cui si moltiplicano analisi e riflessioni. L’aspetto più indecifrabile e destabilizzante per tutti rimane comunque la complessità dei rapporti di forza e degli equilibri irrisolti all’interno della galassia musulmana. Lo stesso regime talebano, espressione dell’etnia pashtun, è diviso al proprio interno tra la componente orientale, con base a Peshawar in Pakistan, rappresentata dalla rete Haqqani; e quella meridionale che fa riferimento alla Shura (Consiglio) di Quetta, sempre in Pakistan. 

È stata la prima a forzare i tempi per l’ingresso dei talebani a Kabul, grazie al prestigio e al ruolo conquistato negli ultimi anni all’interno dell’internazionale jihadista con la forza e la spietatezza degli attacchi terroristici contro il regime filoccidentale afgano. Probabilmente Abdul Ghani Baradar, fondatore dei talebani col mullah Omar, tessitore degli accordi con gli americani e rappresentante della Shura di Quetta, avrebbe preferito una procedura più diplomatica e attendista prima di insediarsi al potere. 

Non sarà semplice per i nuovi capi politici talebani delle tribù meridionali arginare le probabili pretese egemoniche della rete Haqqani. Non è nemmeno casuale la presenza in Pakistan delle basi operative di entrambe le componenti del movimento talebano, concepito, preparato, organizzato e finanziato dai servizi segreti pachistani dopo il ritiro sovietico dall’Afghanistan nel 1989. 

Il rapporto tra talebani e Pakistan non appare, tuttavia, così lineare, perché strettamente legato ai rapporti e alle tensioni ricorrenti all’interno del Pakistan con le aree tribali orientali. In questa regione vivono oltre tre milioni di abitanti di etnia pahtun afgana, esclusi dalla loro terra originaria, quando furono tracciati i confini durante il dominio britannico nel subcontinente indiano. 

I pashtun confinati nelle aree tribali del Pakistan si riconoscono molto di più nei loro gruppi di appartenenza che nell’autorità centrale dello Stato. Al punto che il governo pachistano ha cancellato l’autonomia amministrativa di cui godevano. 

I talebani, nelle intenzioni almeno di chi li ha organizzati e foraggiati, sarebbero dovuti rimanere uno strumento politico e militare controllato ed eterodiretto dal Pakistan. Non era previsto che le tensioni tra sciiti e sunniti da un lato, e con le aree tribali dall’altro, potessero alimentare azioni terroristiche talebane anche all’interno dello stesso Pakistan. 

Inoltre in Afghanistan da anni opera anche una componente locale dello Stato islamico, il cosiddetto Isis-Khorasan. La sua affinità ideologica con i talebani è pari alla fortissima rivalità all’interno della galassia jihadista. 

L’ultimo segnale è arrivato con l’attentato all’aeroporto di Kabul, ma sono anni che l’Isis-K cerca di presentarsi come alternativa più credibile dei talebani in Afghanistan per rigore ideologico-religioso e capacità di azioni terroristiche. La rete talebana di Haqqani ha acquistato prestigio e un ruolo significativo all’interno del movimento proprio in virtù delle sue risposte terroristiche altrettanto forti contro il precedente regime filoccidentale. 

Non va trascurato poi che un eventuale appoggio ai talebani offerto da gruppi di potere fondamentalisti sunniti arabi dovrebbe affrontare la feroce reazione dei loro governi. Basti ricordare le guerre condotte ai Fratelli musulmani da Egitto e Arabia Saudita. L’instabilità afgana, dunque, presenta varie sfacettature, ma il groviglio interno al mondo musulmano costituisce probabilmente il nodo più difficile da sbrogliare. 

 

Stefano Verzè 

 







sabato 13 novembre 2021

 14 novembre 2021- 33a domenica del tempo ordinario

Prima Lettura - Dal libr

o del profeta Daniele
Dn 12,1-3
 
In quel tempo, sorgerà M
ichele, il gran principe, che vigila sui figli del tuo popolo.

Sarà un tempo di angoscia, come non c'era stata mai dal sorgere delle nazioni fino a quel tempo; in quel tempo sarà salvato il tuo popolo, chiunque si troverà scritto nel libro.
Molti di quelli che dormono nella regione della polvere si risveglieranno: gli uni alla vita eterna e gli altri alla vergogna e per l'infamia eterna.
I saggi risplenderanno come lo splendore del firmamento; coloro che avranno indotto molti alla giustizia risplenderanno come le stelle per sempre.

 

Salmo Responsoriale - Dal Sal 15 (16)

 

R. Proteggimi, o Dio: in te mi rifugio.

Il Signore è mia parte di eredità e mio calice:
nelle tue mani è la mia vita.
Io pongo sempre davanti a me il Signore,
sta alla mia destra, non potrò vacillare. R.
 
Per questo gioisce il mio cuore
ed esulta la mia anima;
anche il mio corpo riposa al sicuro,
perché non abbandonerai la mia vita negli inferi,
né lascerai che il tuo fedele veda la fossa. R.
 
Mi indicherai il sentiero della vita,
gioia piena alla tua presenza,
dolcezza senza fine alla tua destra. R.

 

Seconda Lettura - Dalla lettera agli Ebrei - Eb 10,11-14.18
 
Ogni sacerdote si presenta giorno per giorno a celebrare il culto e a offrire molte volte gli stessi sacrifici, che non possono mai eliminare i peccati.
Cristo, invece, avendo offerto un solo sacrificio per i peccati, si è assiso per sempre alla destra di Dio, aspettando ormai che i suoi nemici vengano posti a sgabello dei suoi piedi. Infatti, con un'unica offerta egli ha reso perfetti per sempre quelli che vengono santificati.
Ora, dove c'è il perdono di queste cose, non c'è più offerta per il peccato.

Vangelo - Dal Vangelo secondo Marco - Mc 13,24-32


In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«In quei giorni, dopo quella tribolazione, il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte.
Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. Egli manderà gli angeli e radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall'estremità della terra fino all'estremità del cielo.
Dalla pianta di fico imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l'estate è vicina. Così anche voi: quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, è alle porte.
In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno.
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Quanto però a quel giorno o a quell'ora, nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo né il Figlio, eccetto il Padre».











Omelia sul Vangelo (Mc 13, 24-32)

 

Gesù parla, in questo discorso, del destino finale dell’umanità e prende a prestito, con un linguaggio particolare, alcune immagini un po’ terrificanti che potrebbero darci, a prima vista, un senso di paura… “il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte”. Ma non è la descrizione quasi fisica della fine del mondo, per metterci in ansia! E’ un’ impressione da correggere per  capire nel senso giusto questa pagina un po’ difficile! 

Gesù  invita a riflettere sulla sorte ultima dell’umanità e del mondo, che riguarda la fine. E’ vero che questo mondo finirà… (perché solo Dio è eterno),  e noi non sappiamo come… Ma tutto questo è per dare inizio a quella che la Scrittura chiama la “nuova creazione”, cioè un nuovo mondo che uscirà dalla mente e dal cuore di Dio! Una realtà, per noi impossibile da capire, ma  che mette in luce il pensiero e il progetto di Dio, che non è per la morte ma per la vita.

E’ probabile che la descrizione paurosa della fine di tutto ,sia collegata con gli avvenimenti accaduti in Giudea negli anni 70 (dominio di Roma e, in seguito, distruzione del tempio e persecuzione della comunità cristiana) . Per gli ebrei la distruzione del tempio era stata considerata come il segno della fine di tutto… Ma non la pensa così Gesù, che, piuttosto  vuole tranquillizare i cristiani di ieri e di oggi con un messaggio di speranza, di grande speranza per tutti. Infatti si dice: “Ed egli manderà gli angeli e riunirà i suoi eletti dai quattro venti (cioè da ogni parte dell’orizzonte, della terra), dall' estremità della terra fino all 'estremità del cielo”.

Un raduno che nasce dall’amore, il contrario esatto della dispersione e del “si salvi chi puo!”. 

Dio non ha l’occhio che ci spia, ma è quello che ci guarda con amore (come ha guardato Pietro nella sua passione - Lc 22,61) e che è venuto a condividere pienamente con noi la nostra realtà umana, a compatire con noi. 

I suoi eletti sono quelli che si sono mostrati pronti e vigilanti e hanno atteso con perseveranza la venuta continua, nella loro vita, del Signore Gesù.

Il giudizio finale del Figlio dell’uomo é, da una parte, lo sguardo del Signore che fa tutto il possibile per introdurci nella vita piena; dall’altro è una chiamata, fin d’ora,  alla responsabilità, a far tesoro dei doni di Dio, il quale ci invita a non emarginarlo dalla vita. Quindi la nostra sorte futura è nel pensiero amorevole di Dio, ma anche nelle nostre mani. E così decidiamo noi stessi della nostra salvezza o della nostra rovina! 

 

La salvezza è per tutti e la condizione è quella di accettare nella nostra vita Gesù, la sua presenza accanto a noi, in noi. È la condizione necessaria: riconoscere Gesù come unica via al Padre e cambiare l’orizzonte della nostra vita; la nostra meta è quella indicata e praticata da lui: fare la volontà del Padre: “mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato (Gv 4,34)”. In questo senso c’è la direzione della nostra vita. Il salmo di questa domenica presenta la certezza di colui che invoca Dio:

“Il Signore è mia parte di eredità e mio calice: nelle tue mani è la mia vita.
Io pongo sempre davanti a me il Signore, sta alla mia destra, non potrò vacillare.”  

Il Vangelo ce lo dice anche con le parole: “…Sappiate che egli è vicino, è alle porte”.

 

 

Il Signore non ci ha abbandonato, non è diventato straniero e indifferente al nostro percorso umano…anche con tutte le sue complicazioni. Se  è vicino è per farsi presente a noi, per chiederci di entrare nella nostra casa, bussando con fiducia alla nostra porta.  E noi: o lo lasciamo fuori, o  decidiamo di aprigli e farlo sede come un ospite desiderato!

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preghiera dei fedeli

Per la santa Chiesa di Dio. Molti uomini considerano la loro vita limitata alla fase terrena. Perché la Chiesa non si stanchi di annunciare al mondo la speranza di un futuro nuovo, di una terra rinnovata, in cui ogni lacrima sarà asciugata, e Dio sarà tutto in tutti, preghiamo.

 

Per gli abitanti del pianeta Terra. Il Signore ha affidato a ogni uomo il compito di amare e rispettare la natura nella sua bellezza e ricchezza. Perché nessuno deturpi l’opera del Creatore, ma tutti collaborino a rendere il mondo più umano e più solidale: preghiamo.

 

Per gli uomini della scienza e della tecnica, così impegnati a scoprire e utilizzare i segreti della natura. Il loro impegno contribuisca a preparare i cieli nuovi e la terra nuova promessi da Dio, preghiamo.


Per tutte le persone che vivono il disagio della povertà materiale o spirituale, vittime della solitudine o dell’indifferenza altrui. Questa GIORNATA MONDIALE DEI POVERI risvegli la nostra coscienza di cristiani, diventando per loro segno di amore e di aiuto concreto. preghiamo.

 

Per la nostra comunità parrocchiale. Perché coloro che ci incontrano possano leggere nella nostra vita cristiana la speranza nelle realtà future, e la sollecitudine nell’essere vigilanti per essere degni di goderle secondo il disegno di Dio, preghiamo.

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MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO- V GIORNATA MONDIALE DEI POVERI

Domenica XXXIII del Tempo Ordinario - 14 novembre 2021

 

«I poveri li avete sempre con voi» (Mc 14,7)

 

1. «I poveri li avete sempre con voi» (Mc 14,7). Gesù pronunciò queste parole nel contesto di un pranzo, a Betania, nella casa di un certo Simone detto “il lebbroso”, alcuni giorni prima della Pasqua. Come racconta l’evangelista, una donna era entrata con un vaso di alabastro pieno di profumo molto prezioso e l’aveva versato sul capo di Gesù. Quel gesto suscitò grande stupore e diede adito a due diverse interpretazioni.

La prima è l’indignazione di alcuni tra i presenti, compresi i discepoli, i quali considerando il valore del profumo – circa 300 denari, equivalente al salario annuo di un lavoratore – pensano che sarebbe stato meglio venderlo e dare il ricavato ai poveri. Secondo il Vangelo di Giovanni, è Giuda che si fa interprete di questa posizione: «Perché non si è venduto questo profumo per trecento denari e non si sono dati ai poveri?». E l’evangelista annota: «Disse questo non perché gli importasse dei poveri, ma perché era un ladro e, siccome teneva la cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro» (12,5-6). Non è un caso che questa dura critica venga dalla bocca del traditore: è la prova che quanti non riconoscono i poveri tradiscono l’insegnamento di Gesù e non possono essere suoi discepoli. Ricordiamo, in proposito, le parole forti di Origene: «Giuda sembrava preoccuparsi dei poveri […]. Se adesso c’è ancora qualcuno che ha la borsa della Chiesa e parla a favore dei poveri come Giuda, ma poi si prende quello che mettono dentro, abbia allora la sua parte insieme a Giuda» (Commento al vangelo di Matteo, 11, 9).

 

La seconda interpretazione è data da Gesù stesso e permette di cogliere il senso profondo del gesto compiuto dalla donna. Egli dice: «Lasciatela stare; perché la infastidite? Ha compiuto un’azione buona verso di me» (Mc 14,6). Gesù sa che la sua morte è vicina e vede in quel gesto l’anticipo dell’unzione del suo corpo senza vita prima di essere posto nel sepolcro. Questa visione va al di là di ogni aspettativa dei commensali. Gesù ricorda loro che il primo povero è Lui, il più povero tra i poveri perché li rappresenta tutti. Ed è anche a nome dei poveri, delle persone sole, emarginate e discriminate che il Figlio di Dio accetta il gesto di quella donna. Ella, con la sua sensibilità femminile, mostra di essere l’unica a comprendere lo stato d’animo del Signore. Questa donna anonima, destinata forse per questo a rappresentare l’intero universo femminile che nel corso dei secoli non avrà voce e subirà violenze, inaugura la significativa presenza di donne che prendono parte al momento culminante della vita di Cristo: la sua crocifissione, morte e sepoltura e la sua apparizione da Risorto. Le donne, così spesso discriminate e tenute lontano dai posti di responsabilità, nelle pagine dei Vangeli sono invece protagoniste nella storia della rivelazione. Ed è eloquente l’espressione conclusiva di Gesù, che associa questa donna alla grande missione evangelizzatrice: «In verità io vi dico: dovunque sarà proclamato il Vangelo, per il mondo intero, in ricordo di lei si dirà anche quello che ha fatto» (Mc 14,9).

alla Porziuncola: la testimonianza di un povero

2. Questa forte “empatia” tra Gesù e la donna, e il modo in cui Egli interpreta la sua unzione, in contrasto con la visione scandalizzata di Giuda e di altri, aprono una strada feconda di riflessione sul legame inscindibile che c’è tra Gesù, i poveri e l’annuncio del Vangelo.

Il volto di Dio che Egli rivela, infatti, è quello di un Padre per i poveri e vicino ai poveri. Tutta l’opera di Gesù afferma che la povertà non è frutto di fatalità, ma segno concreto della sua presenza in mezzo a noi. Non lo troviamo quando e dove vogliamo, ma lo riconosciamo nella vita dei poveri, nella loro sofferenza e indigenza, nelle condizioni a volte disumane in cui sono costretti a vivere. Non mi stanco di ripetere che i poveri sono veri evangelizzatori perché sono stati i primi ad essere evangelizzati e chiamati a condividere la beatitudine del Signore e il suo Regno (cfr Mt 5,3).

I poveri di ogni condizione e ogni latitudine ci evangelizzano, perché permettono di riscoprire in modo sempre nuovo i tratti più genuini del volto del Padre. «Essi hanno molto da insegnarci. Oltre a partecipare del sensus fidei, con le proprie sofferenze conoscono il Cristo sofferente. È necessario che tutti ci lasciamo evangelizzare da loro. La nuova evangelizzazione è un invito a riconoscere la forza salvifica delle loro esistenze e a porle al centro del cammino della Chiesa. Siamo chiamati a scoprire Cristo in loro, a prestare ad essi la nostra voce nelle loro cause, ma anche ad essere loro amici, ad ascoltarli, a comprenderli e ad accogliere la misteriosa sapienza che Dio vuole comunicarci attraverso di loro. Il nostro impegno non consiste esclusivamente in azioni o in programmi di promozione e assistenza; quello che lo Spirito mette in moto non è un eccesso di attivismo, ma prima di tutto un’attenzione rivolta all’altro considerandolo come un’unica cosa con sé stesso. Questa attenzione d’amore è l’inizio di una vera preoccupazione per la sua persona e a partire da essa desidero cercare effettivamente il suo bene» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 198-199).

 

3. Gesù non solo sta dalla parte dei poveri, ma condivide con loro la stessa sorte. Questo è un forte insegnamento anche per i suoi discepoli di ogni tempo. Le sue parole “i poveri li avete sempre con voi” stanno a indicare anche questo: la loro presenza in mezzo a noi è costante, ma non deve indurre a un’abitudine che diventa indifferenza, bensì coinvolgere in una condivisione di vita che non ammette deleghe. I poveri non sono persone “esterne” alla comunità, ma fratelli e sorelle con cui condividere la sofferenza, per alleviare il loro disagio e l’emarginazione, perché venga loro restituita la dignità perduta e assicurata l’inclusione sociale necessaria. D’altronde, si sa che un gesto di beneficenza presuppone un benefattore e un beneficato, mentre la condivisione genera fratellanza. L’elemosina, è occasionale; la condivisione invece è duratura. La prima rischia di gratificare chi la compie e di umiliare chi la riceve; la seconda rafforza la solidarietà e pone le premesse necessarie per raggiungere la giustizia. Insomma, i credenti, quando vogliono vedere di persona Gesù e toccarlo con mano, sanno dove rivolgersi: i poveri sono sacramento di Cristo, rappresentano la sua persona e rinviano a Lui.

Abbiamo tanti esempi di santi e sante che hanno fatto della condivisione con i poveri il loro progetto di vita. Penso, tra gli altri, a Padre Damiano de Veuster, santo apostolo dei lebbrosi. Con grande generosità rispose alla chiamata di recarsi nell’isola di Molokai, diventata un ghetto accessibile solo ai lebbrosi, per vivere e morire con loro. Si rimboccò le maniche e fece di tutto per rendere la vita di quei poveri malati ed emarginati, ridotti in estremo degrado, degna di essere vissuta. Si fece medico e infermiere, incurante dei rischi che correva e in quella “colonia di morte”, come veniva chiamata l’isola, portò la luce dell’amore. La lebbra colpì anche lui, segno di una condivisione totale con i fratelli e le sorelle per i quali aveva donato la vita. La sua testimonianza è molto attuale ai nostri giorni, segnati dalla pandemia di coronavirus: la grazia di Dio è certamente all’opera nei cuori di tanti che, senza apparire, si spendono per i più poveri in una concreta condivisione.

4. Abbiamo bisogno, dunque, di aderire con piena convinzione all’invito del Signore: «Convertitevi e credete nel Vangelo» (Mc 1,15). Questa conversione consiste in primo luogo nell’aprire il nostro cuore a riconoscere le molteplici espressioni di povertà e nel manifestare il Regno di Dio mediante uno stile di vita coerente con la fede che professiamo. Spesso i poveri sono considerati come persone separate, come una categoria che richiede un particolare servizio caritativo. Seguire Gesù comporta, in proposito, un cambiamento di mentalità, cioè di accogliere la sfida della condivisione e della partecipazione. Diventare suoi discepoli implica la scelta di non accumulare tesori sulla terra, che danno l’illusione di una sicurezza in realtà fragile ed effimera. Al contrario, richiede la disponibilità a liberarsi da ogni vincolo che impedisce di raggiungere la vera felicità e beatitudine, per riconoscere ciò che è duraturo e non può essere distrutto da niente e nessuno (cfr Mt 6,19-20).

L’insegnamento di Gesù anche in questo caso va controcorrente, perché promette ciò che solo gli occhi della fede possono vedere e sperimentare con assoluta certezza: «Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna» (Mt 19,29). Se non si sceglie di diventare poveri di ricchezze effimere, di potere mondano e di vanagloria, non si sarà mai in grado di donare la vita per amore; si vivrà un’esistenza frammentaria, piena di buoni propositi ma inefficace per trasformare il mondo. Si tratta, pertanto, di aprirsi decisamente alla grazia di Cristo, che può renderci testimoni della sua carità senza limiti e restituire credibilità alla nostra presenza nel mondo.

5. Il Vangelo di Cristo spinge ad avere un’attenzione del tutto particolare nei confronti dei poveri e chiede di riconoscere le molteplici, troppe forme di disordine morale e sociale che generano sempre nuove forme di povertà. Sembra farsi strada la concezione secondo la quale i poveri non solo sono responsabili della loro condizione, ma costituiscono un peso intollerabile per un sistema economico che pone al centro l’interesse di alcune categorie privilegiate. Un mercato che ignora o seleziona i principi etici crea condizioni disumane che si abbattono su persone che vivono già in condizioni precarie. Si assiste così alla creazione di sempre nuove trappole dell’indigenza e dell’esclusione, prodotte da attori economici e finanziari senza scrupoli, privi di senso umanitario e responsabilità sociale.

Lo scorso anno, inoltre, si è aggiunta un’altra piaga che ha moltiplicato ulteriormente i poveri: la pandemia. Essa continua a bussare alle porte di milioni di persone e, quando non porta con sé la sofferenza e la morte, è comunque foriera di povertà. I poveri sono aumentati a dismisura e, purtroppo, lo saranno ancora nei prossimi mesi. Alcuni Paesi stanno subendo per la pandemia gravissime conseguenze, così che le persone più vulnerabili si trovano prive dei beni di prima necessità. Le lunghe file davanti alle mense per i poveri sono il segno tangibile di questo peggioramento. Uno sguardo attento richiede che si trovino le soluzioni più idonee per combattere il virus a livello mondiale, senza mirare a interessi di parte. In particolare, è urgente dare risposte concrete a quanti patiscono la disoccupazione, che colpisce in maniera drammatica tanti padri di famiglia, donne e giovani. La solidarietà sociale e la generosità di cui molti, grazie a Dio, sono capaci, unite a progetti lungimiranti di promozione umana, stanno dando e daranno un contributo molto importante in questo frangente.

 

6. Rimane comunque aperto l’interrogativo per nulla ovvio: come è possibile dare una risposta tangibile ai milioni di poveri che spesso trovano come riscontro solo l’indifferenza quando non il fastidio? Quale via della giustizia è necessario percorrere perché le disuguaglianze sociali possano essere superate e sia restituita la dignità umana così spesso calpestata? Uno stile di vita individualistico è complice nel generare povertà, e spesso scarica sui poveri tutta la responsabilità della loro condizione. Ma la povertà non è frutto del destino, è conseguenza dell’egoismo. Pertanto, è decisivo dare vita a processi di sviluppo in cui si valorizzano le capacità di tutti, perché la complementarità delle competenze e la diversità dei ruoli porti a una risorsa comune di partecipazione. Ci sono molte povertà dei “ricchi” che potrebbero essere curate dalla ricchezza dei “poveri”, se solo si incontrassero e conoscessero! Nessuno è così povero da non poter donare qualcosa di sé nella reciprocità. I poveri non possono essere solo coloro che ricevono; devono essere messi nella condizione di poter dare, perché sanno bene come corrispondere. Quanti esempi di condivisione sono sotto i nostri occhi! I poveri ci insegnano spesso la solidarietà e la condivisione. È vero, sono persone a cui manca qualcosa, spesso manca loro molto e perfino il necessario, ma non mancano di tutto, perché conservano la dignità di figli di Dio che niente e nessuno può loro togliere.

 

7. Per questo si impone un differente approccio alla povertà. È una sfida che i Governi e le Istituzioni mondiali hanno bisogno di recepire con un lungimirante modello sociale, capace di andare incontro alle nuove forme di povertà che investono il mondo e che segneranno in maniera decisiva i prossimi decenni. Se i poveri sono messi ai margini, come se fossero i colpevoli della loro condizione, allora il concetto stesso di democrazia è messo in crisi e ogni politica sociale diventa fallimentare. Con grande umiltà dovremmo confessare che dinanzi ai poveri siamo spesso degli incompetenti. Si parla di loro in astratto, ci si ferma alle statistiche e si pensa di commuovere con qualche documentario. La povertà, al contrario, dovrebbe provocare ad una progettualità creativa, che consenta di accrescere la libertà effettiva di poter realizzare l’esistenza con le capacità proprie di ogni persona. È un’illusione da cui stare lontani quella di pensare che la libertà sia consentita e accresciuta per il possesso di denaro. Servire con efficacia i poveri provoca all’azione e permette di trovare le forme più adeguate per risollevare e promuovere questa parte di umanità troppe volte anonima e afona, ma con impresso in sé il volto del Salvatore che chiede aiuto.

 

8. «I poveri li avete sempre con voi» (Mc 14,7). È un invito a non perdere mai di vista l’opportunità che viene offerta per fare del bene. Sullo sfondo si può intravedere l’antico comando biblico: «Se vi sarà in mezzo a te qualche tuo fratello che sia bisognoso […], non indurirai il tuo cuore e non chiuderai la mano davanti al tuo fratello bisognoso, ma gli aprirai la mano e gli presterai quanto occorre alla necessità in cui si trova. […] Dagli generosamente e, mentre gli doni, il tuo cuore non si rattristi. Proprio per questo, infatti, il Signore, tuo Dio, ti benedirà in ogni lavoro e in ogni cosa a cui avrai messo mano.Poiché i bisognosi non mancheranno mai nella terra» (Dt 15,7-8.10-11). Sulla stessa lunghezza d’onda si pone l’apostolo Paolo quando esorta i cristiani delle sue comunità a soccorrere i poveri della prima comunità di Gerusalemme e a farlo «non con tristezza né per forza, perché Dio ama chi dona con gioia» (2 Cor 9,7). Non si tratta di alleggerire la nostra coscienza facendo qualche elemosina, ma  piuttosto di contrastare la cultura dell’indifferenza e dell’ingiustizia con cui ci si pone nei confronti dei poveri.

In questo contesto fa bene ricordare anche le parole di San Giovanni Crisostomo: «Chi è generoso non deve chiedere conto della condotta, ma solamente migliorare la condizione di povertà e appagare il bisogno. Il povero ha una sola difesa: la sua povertà e la condizione di bisogno in cui si trova. Non chiedergli altro; ma fosse pure l’uomo più malvagio al mondo, qualora manchi del nutrimento necessario, liberiamolo dalla fame. […] L’uomo misericordioso è un porto per chi è nel bisogno: il porto accoglie e libera dal pericolo tutti i naufraghi; siano essi malfattori, buoni o siano come siano quelli che si trovano in pericolo, il porto li mette al riparo all’interno della sua insenatura. Anche tu, dunque, quando vedi in terra un uomo che ha sofferto il naufragio della povertà, non giudicare, non chiedere conto della sua condotta, ma liberalo dalla sventura» (Discorsi sul povero Lazzaro, II, 5).

9. È decisivo che si accresca la sensibilità per capire le esigenze dei poveri, sempre in mutamento come lo sono le condizioni di vita. Oggi, infatti, nelle aree del mondo economicamente più sviluppate si è meno disposti che in passato a confrontarsi con la povertà. Lo stato di relativo benessere a cui ci si è abituati rende più difficile accettare sacrifici e privazioni. Si è pronti a tutto pur di non essere privati di quanto è stato frutto di facile conquista. Si cade così in forme di rancore, di nervosismo spasmodico, di rivendicazioni che portano alla paura, all’angoscia e in alcuni casi alla violenza. Non è questo il criterio su cui costruire il futuro; eppure, anche queste sono forme di povertà da cui non si può distogliere lo sguardo. Dobbiamo essere aperti a leggere i segni dei tempi che esprimono nuove modalità con cui essere evangelizzatori nel mondo contemporaneo. L’assistenza immediata per andare incontro ai bisogni dei poveri non deve impedire di essere lungimiranti per attuare nuovi segni dell’amore e della carità cristiana, come risposta alle nuove povertà che l’umanità di oggi sperimenta.

Mi auguro che la Giornata Mondiale dei Poveri, giunta ormai alla sua quinta celebrazione, possa radicarsi sempre più nelle nostre Chiese locali e aprirsi a un movimento di evangelizzazione che incontri in prima istanza i poveri là dove si trovano. Non possiamo attendere che bussino alla nostra porta, è urgente che li raggiungiamo nelle loro case, negli ospedali e nelle residenze di assistenza, per le strade e negli angoli bui dove a volte si nascondono, nei centri di rifugio e di accoglienza… È importante capire come si sentono, cosa provano e quali desideri hanno nel cuore. Facciamo nostre le parole accorate di Don Primo Mazzolari: «Vorrei pregarvi di non chiedermi se ci sono dei poveri, chi sono e quanti sono, perché temo che simili domande rappresentino una distrazione o il pretesto per scantonare da una precisa indicazione della coscienza e del cuore. […] Io non li ho mai contati i poveri, perché non si possono contare: i poveri si abbracciano, non si contano» (“Adesso” n. 7-15 aprile 1949). I poveri sono in mezzo noi. Come sarebbe evangelico se potessimo dire con tutta verità: anche noi siamo poveri, perché solo così riusciremmo a riconoscerli realmente e farli diventare parte della nostra vita e strumento di salvezza.