Via Mantova, 44- 37019 Peschiera (d.G.). Tel. 045.75. 51.400 parroco: don Attilio Bonato (ottobre 2009).
venerdì 9 marzo 2018
4a domenica di Quaresima- anno B
Dal secondo libro delle Cronache
In quei giorni, tutti i capi di Giuda, i sacerdoti e il popolo moltiplicarono le loro infedeltà, imitando in tutto gli abomini degli altri popoli, e contaminarono il tempio, che il Signore si era consacrato a Gerusalemme.
Il Signore, Dio dei loro padri, mandò premurosamente e incessantemente i suoi messaggeri ad ammonirli, perché aveva compassione del suo popolo e della sua dimora. Ma essi si beffarono dei messaggeri di Dio, disprezzarono le sue parole e schernirono i suoi profeti al punto che l’ira del Signore contro il suo popolo raggiunse il culmine, senza più rimedio. Quindi [i suoi nemici] incendiarono il tempio del Signore, demolirono le mura di Gerusalemme e diedero alle fiamme tutti i suoi palazzi e distrussero tutti i suoi oggetti preziosi.
Il re [dei Caldèi] deportò a Babilonia gli scampati alla spada, che divennero schiavi suoi e dei suoi figli fino all’avvento del regno persiano, attuandosi così la parola del Signore per bocca di Geremìa: «Finché la terra non abbia scontato i suoi sabati, essa riposerà per tutto il tempo della desolazione fino al compiersi di settanta anni».
Nell’anno primo di Ciro, re di Persia, perché si adempisse la parola del Signore pronunciata per bocca di Geremìa, il Signore suscitò lo spirito di Ciro, re di Persia, che fece proclamare per tutto il suo regno, anche per iscritto: «Così dice Ciro, re di Persia: “Il Signore, Dio del cielo, mi ha concesso tutti i regni della terra. Egli mi ha incaricato di costruirgli un tempio a Gerusalemme, che è in Giuda. Chiunque di voi appartiene al suo popolo, il Signore, suo Dio, sia con lui e salga!”».
In quei giorni, tutti i capi di Giuda, i sacerdoti e il popolo moltiplicarono le loro infedeltà, imitando in tutto gli abomini degli altri popoli, e contaminarono il tempio, che il Signore si era consacrato a Gerusalemme.
Il Signore, Dio dei loro padri, mandò premurosamente e incessantemente i suoi messaggeri ad ammonirli, perché aveva compassione del suo popolo e della sua dimora. Ma essi si beffarono dei messaggeri di Dio, disprezzarono le sue parole e schernirono i suoi profeti al punto che l’ira del Signore contro il suo popolo raggiunse il culmine, senza più rimedio. Quindi [i suoi nemici] incendiarono il tempio del Signore, demolirono le mura di Gerusalemme e diedero alle fiamme tutti i suoi palazzi e distrussero tutti i suoi oggetti preziosi.
Il re [dei Caldèi] deportò a Babilonia gli scampati alla spada, che divennero schiavi suoi e dei suoi figli fino all’avvento del regno persiano, attuandosi così la parola del Signore per bocca di Geremìa: «Finché la terra non abbia scontato i suoi sabati, essa riposerà per tutto il tempo della desolazione fino al compiersi di settanta anni».
Nell’anno primo di Ciro, re di Persia, perché si adempisse la parola del Signore pronunciata per bocca di Geremìa, il Signore suscitò lo spirito di Ciro, re di Persia, che fece proclamare per tutto il suo regno, anche per iscritto: «Così dice Ciro, re di Persia: “Il Signore, Dio del cielo, mi ha concesso tutti i regni della terra. Egli mi ha incaricato di costruirgli un tempio a Gerusalemme, che è in Giuda. Chiunque di voi appartiene al suo popolo, il Signore, suo Dio, sia con lui e salga!”».
Salmo responsoriale (Sal 136)
Il ricordo di
te, Signore, è la nostra gioia.
Lungo i fiumi di Babilonia,
là sedevamo e piangevamo
ricordandoci di Sion.
Ai salici di quella terra
appendemmo le nostre cetre.
Perché là ci chiedevano parole di canto
coloro che ci avevano deportato,
allegre canzoni, i nostri oppressori:
«Cantateci canti di Sion!».
Come cantare i canti del Signore
in terra straniera?
Se mi dimentico di te, Gerusalemme,
si dimentichi di me la mia destra.
Mi si attacchi la lingua al palato
se lascio cadere il tuo ricordo,
se non innalzo Gerusalemme
al di sopra di ogni mia gioia.
là sedevamo e piangevamo
ricordandoci di Sion.
Ai salici di quella terra
appendemmo le nostre cetre.
Perché là ci chiedevano parole di canto
coloro che ci avevano deportato,
allegre canzoni, i nostri oppressori:
«Cantateci canti di Sion!».
Come cantare i canti del Signore
in terra straniera?
Se mi dimentico di te, Gerusalemme,
si dimentichi di me la mia destra.
Mi si attacchi la lingua al palato
se lascio cadere il tuo ricordo,
se non innalzo Gerusalemme
al di sopra di ogni mia gioia.
Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesìni
Fratelli, Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amato, da morti che eravamo per le colpe, ci ha fatto rivivere con Cristo: per grazia siete salvati.
Con lui ci ha anche risuscitato e ci ha fatto sedere nei cieli, in Cristo Gesù, per mostrare nei secoli futuri la straordinaria ricchezza della sua grazia mediante la sua bontà verso di noi in Cristo Gesù.
Per grazia infatti siete salvati mediante la fede; e ciò non viene da voi, ma è dono di Dio; né viene dalle opere, perché nessuno possa vantarsene. Siamo infatti opera sua, creati in Cristo Gesù per le opere buone, che Dio ha preparato perché in esse camminassimo.
Fratelli, Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amato, da morti che eravamo per le colpe, ci ha fatto rivivere con Cristo: per grazia siete salvati.
Con lui ci ha anche risuscitato e ci ha fatto sedere nei cieli, in Cristo Gesù, per mostrare nei secoli futuri la straordinaria ricchezza della sua grazia mediante la sua bontà verso di noi in Cristo Gesù.
Per grazia infatti siete salvati mediante la fede; e ciò non viene da voi, ma è dono di Dio; né viene dalle opere, perché nessuno possa vantarsene. Siamo infatti opera sua, creati in Cristo Gesù per le opere buone, che Dio ha preparato perché in esse camminassimo.
Dal Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo:
«Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.
Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio.
E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio».
In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo:
«Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.
Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio.
E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio».
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DOCUMENTO CONGREGAZIONE DELLA FEDE: "PLACUIT DEO"ù
Lettera Placuit
Deo ai Vescovi della Chiesa cattolica
su alcuni aspetti della
salvezza cristiana
CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE
Lettera Placuit
Deo ai Vescovi della Chiesa cattolica su alcuni aspetti della
salvezza cristiana
I. Introduzione
1. «Piacque a Dio nella sua bontà e sapienza rivelare se
stesso e far conoscere il mistero della sua volontà (cf. Ef 1,9),
mediante il quale gli uomini per mezzo di Cristo, Verbo fatto carne, nello
Spirito hanno accesso al Padre e sono resi partecipi della divina natura
(cf. Ef 2,18; 2 Pt 1,4). [...] La profonda
verità [...] su Dio e sulla salvezza degli uomini, per mezzo di questa
rivelazione risplende a noi nel Cristo, il quale è insieme il mediatore e la
pienezza di tutta la rivelazione».[1] L’insegnamento
sulla salvezza in Cristo esige di essere sempre nuovamente approfondito.
Tenendo fisso lo sguardo sul Signore Gesù, la Chiesa si volge con amore materno
a tutti gli uomini, per annunciare loro l’intero disegno d’Alleanza del Padre
che, mediante lo Spirito Santo, vuole «ricondurre al Cristo, unico capo, tutte
le cose» (Ef 1,10). La presente Lettera intende mettere in
evidenza, nel solco della grande tradizione della fede e con particolare
riferimento all’insegnamento di Papa Francesco, alcuni aspetti della salvezza
cristiana che possono essere oggi difficili da comprendere a causa delle
recenti trasformazioni culturali.
II. L’incidenza delle odierne trasformazioni culturali sul
significato della salvezza cristiana
2. Il mondo contemporaneo avverte non senza difficoltà la
confessione di fede cristiana, che proclama Gesù unico Salvatore di tutto
l’uomo e dell’umanità intera (cf. At 4,12; Rom 3,23-24;
1 Tm 2,4-5; Tit 2,11-15).[2] Da
una parte, l’individualismo centrato sul soggetto autonomo tende a vedere
l’uomo come essere la cui realizzazione dipende dalle sole sue forze.[3] In
questa visione, la figura di Cristo corrisponde più ad un modello che ispira
azioni generose, con le sue parole e i suoi gesti, che non a Colui che
trasforma la condizione umana, incorporandoci in una nuova esistenza
riconciliata con il Padre e tra noi mediante lo Spirito (cf. 2 Cor 5,19; Ef 2,18).
D’altra parte, si diffonde la visione di una salvezza meramente interiore, la
quale suscita magari una forte convinzione personale, oppure un intenso
sentimento, di essere uniti a Dio, ma senza assumere, guarire e rinnovare le
nostre relazioni con gli altri e con il mondo creato. Con questa prospettiva
diviene difficile cogliere il senso dell’Incarnazione del Verbo, per cui Egli
si è fatto membro della famiglia umana, assumendo la nostra carne e la nostra
storia, per noi uomini e per la nostra salvezza.
3. Il Santo Padre Francesco, nel suo magistero ordinario, ha fatto spesso riferimento
a due tendenze che rappresentano le due deviazioni appena accennate e che
assomigliano in taluni aspetti a due antiche eresie, il pelagianesimo e lo
gnosticismo.[4] Nei
nostri tempi prolifera un neo-pelagianesimo per cui l’individuo, radicalmente
autonomo, pretende di salvare sé stesso, senza riconoscere che egli dipende,
nel più profondo del suo essere, da Dio e dagli altri. La salvezza si affida
allora alle forze del singolo, oppure a delle strutture puramente umane,
incapaci di accogliere la novità dello Spirito di Dio.[5] Un
certo neo-gnosticismo, dal canto suo, presenta una salvezza meramente
interiore, rinchiusa nel soggettivismo.[6] Essa
consiste nell’elevarsi «con l’intelletto al di là della carne di Gesù verso i
misteri della divinità ignota».[7] Si
pretende così di liberare la persona dal corpo e dal cosmo materiale, nei quali
non si scoprono più le tracce della mano provvidente del Creatore, ma si vede
solo una realtà priva di senso, aliena dall’identità ultima della persona, e
manipolabile secondo gli interessi dell’uomo.[8] È
chiaro, d’altronde, che la comparazione con le eresie pelagiana e gnostica
intende solo evocare dei tratti generali comuni, senza entrare in giudizi
sull’esatta natura degli antichi errori. Grande è, infatti, la differenza tra
il contesto storico odierno secolarizzato e quello dei primi secoli cristiani,
in cui queste eresie sono nate.[9] Tuttavia,
in quanto lo gnosticismo e il pelagianesimo rappresentano pericoli perenni di
fraintendimento della fede biblica, è possibile trovare una certa familiarità
con i movimenti odierni appena descritti.
4. Sia l’individualismo neo-pelagiano che il disprezzo
neo-gnostico del corpo sfigurano la confessione di fede in Cristo, Salvatore
unico e universale. Come potrebbe Cristo mediare l’Alleanza dell’intera
famiglia umana, se l’uomo fosse un individuo isolato, il quale si autorealizza
con le sole sue forze, come propone il neo-pelagianesimo? E come potrebbe
arrivarci la salvezza mediante l’Incarnazione di Gesù, la sua vita, morte e
risurrezione nel suo vero corpo, se quel che conta fosse solo liberare
l’interiorità dell’uomo dai limiti del corpo e dalla materia, secondo la
visione neo-gnostica? Davanti a queste tendenze la presente Lettera vuole
ribadire che la salvezza consiste nella nostra unione con Cristo, il quale, con
la sua Incarnazione, vita, morte e risurrezione, ha generato un nuovo ordine di
relazioni con il Padre e tra gli uomini, e ci ha introdotto in quest’ordine
grazie al dono del suo Spirito, affinché possiamo unirci al Padre come figli
nel Figlio, e diventare un solo corpo nel «primogenito tra molti fratelli» (Rom 8,29).
III. L’aspirazione umana alla salvezza
5. L’uomo percepisce, direttamente o indirettamente, di
essere un enigma: Chi sono io che esisto, ma non ho in me il principio del mio esistere?
Ogni persona, a suo modo, cerca la felicità, e tenta di conseguirla facendo
ricorso alle risorse che ha a disposizione. Tuttavia, questa aspirazione
universale non è necessariamente espressa o dichiarata; anzi, essa è più
segreta e nascosta di quanto possa apparire, ed è pronta a rivelarsi dinanzi a
particolari emergenze. Molto spesso essa coincide con la speranza della salute
fisica, talvolta assume la forma dell’ansia per un maggior benessere economico,
diffusamente si esprime mediante il bisogno di pace interiore e di una serena
convivenza col prossimo. D’altra parte, mentre la domanda di salvezza si
presenta come un impegno verso un bene maggiore, essa conserva anche il
carattere di resistenza e di superamento del dolore. Alla lotta di conquista
del bene si affianca la lotta di difesa dal male: dall’ignoranza e dall’errore,
dalla fragilità e dalla debolezza, dalla malattia e dalla morte.
6. Riguardo a queste aspirazioni la fede in Cristo ci
insegna, rifiutando ogni pretesa di auto-realizzazione, che esse solo si
possono compiere pienamente se Dio stesso lo rende possibile, attirandoci verso
di Sé. La salvezza piena della persona non consiste nelle cose che l’uomo
potrebbe ottenere da sé, come il possesso o il benessere materiale, la scienza
o la tecnica, il potere o l’influsso sugli altri, la buona fama o
l’autocompiacimento.[10] Niente
di creato può soddisfare del tutto l’uomo, perché Dio ci ha destinati alla
comunione con Lui e il nostro cuore sarà inquieto finché non riposi in Lui.[11] «La
vocazione ultima dell’uomo è effettivamente una sola, quella divina».[12] La
rivelazione, in questo modo, non si limita ad annunciare la salvezza come
risposta all’attesa contemporanea. «Se la redenzione, al contrario, dovesse
essere giudicata o misurata secondo i bisogni esistenziali degli esseri umani,
come si potrebbe evitare il sospetto di avere semplicemente creato un Dio
Redentore fatto a immagine del nostro bisogno?».[13]
7. Inoltre è necessario affermare che, secondo la fede
biblica, l’origine del male non si trova nel mondo materiale e corporeo,
sperimentato come un limite o come una prigione dalla quale dovremmo essere
salvati. Al contrario, la fede proclama che tutto il cosmo è buono, in quanto
creato da Dio (cf. Gen 1,31; Sap 1,13-14; 1Tim 4,4),
e che il male che più danneggia l’uomo è quello che procede dal suo cuore
(cf. Mt 15,18-19; Gen 3,1-19). Peccando,
l’uomo ha abbandonato la sorgente dell’amore, e si perde in forme spurie di
amore, che lo chiudono sempre di più in sé stesso. È questa separazione da Dio
–– da Colui che è fonte di comunione e di vita –– che porta alla perdita
dell’armonia tra gli uomini e degli uomini con il mondo, introducendo il
dominio della disgregazione e della morte (cf. Rom 5,12). In
conseguenza, la salvezza che la fede ci annuncia non riguarda soltanto la
nostra interiorità, ma il nostro essere integrale. È tutta la persona, infatti,
in corpo e anima, che è stata creata dall’amore di Dio a sua immagine e
somiglianza, ed è chiamata a vivere in comunione con Lui.
IV. Cristo, Salvatore e Salvezza
8. In nessun momento del cammino dell’uomo Dio ha smesso di
offrire la sua salvezza ai figli di Adamo (cf. Gen 3,15),
stabilendo un’alleanza con tutti gli uomini in Noè (cf. Gen 9,9)
e, più tardi, con Abramo e la sua discendenza (cf. Gen 15,18).
La salvezza divina assume così l’ordine creaturale condiviso da tutti gli
uomini e percorre il loro cammino concreto nella storia. Scegliendosi un
popolo, al quale ha offerto i mezzi per lottare contro il peccato e per
avvicinarsi a Lui, Dio ha preparato la venuta di «un Salvatore potente, nella
casa di Davide, suo servo» (Lc 1,69). Nella pienezza dei tempi, il
Padre ha inviato al mondo suo Figlio, il quale ha annunciato il regno di Dio,
guarendo ogni sorta di malattie (cf. Mt 4,23). Le guarigioni
operate da Gesù, nelle quali si rendeva presente la provvidenza di Dio, erano
un segno che rinviava alla sua persona, a Colui che si è pienamente
rivelato come Signore della vita e della morte nel suo evento pasquale. Secondo
il Vangelo, la salvezza per tutti i popoli ha inizio con l’accoglienza di Gesù:
«Oggi per questa casa è venuta la salvezza» (Lc 19,9). La buona
notizia della salvezza ha un nome e un volto: Gesù Cristo Figlio di Dio
Salvatore. «All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una
grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla
vita un nuovo orizzonte e, con ciò, la direzione decisiva».[14]
9. La fede cristiana, lungo la sua secolare tradizione, ha
illustrato, mediante molteplici figure, quest’opera salvifica del Figlio
incarnato. Lo ha fatto senza mai separare l’aspetto sanante della salvezza, per
cui Cristo ci riscatta dal peccato, dall’aspetto elevante, per cui Egli ci
rende figli di Dio, partecipi della sua natura divina (cf. 2 Pt 1,4).
Considerando la prospettiva salvifica in senso discendente (a partire da Dio
che viene a riscattare gli uomini), Gesù è illuminatore e rivelatore, redentore
e liberatore, Colui che divinizza l’uomo e lo giustifica. Assumendo la
prospettiva ascendente (a partire dagli uomini che si rivolgono a Dio), Egli è
Colui che, quale Sommo Sacerdote della Nuova Alleanza, offre al Padre, in nome
degli uomini, il culto perfetto: si sacrifica, espia i peccati e rimane sempre
vivo per intercedere a nostro favore. In questo modo appare, nella vita di
Gesù, una mirabile sinergia dell’agire divino con l’agire umano, che mostra
l’infondatezza della prospettiva individualista. Da una parte, infatti, il
senso discendente testimonia la primazia assoluta dell’azione gratuita di Dio;
l’umiltà di ricevere i doni di Dio, prima di ogni nostro operare, è essenziale
per poter rispondere al suo amore salvifico. D’altra parte, il senso ascendente
ci ricorda che, mediante l’agire pienamente umano del suo Figlio, il Padre ha
voluto rigenerare il nostro agire, affinché, assimilati a Cristo, possiamo
compiere «le opere buone, che Dio ha preparato perché in esse camminassimo» (Ef 2,10).
10. È chiaro, inoltre, che la salvezza che Gesù ha portato
nella sua stessa persona non avviene in modo soltanto interiore. Infatti, per
poter comunicare ad ogni persona la comunione salvifica con Dio, il Figlio si è
fatto carne (cf. Gv 1,14). È proprio assumendo la carne
(cf. Rom 8,3; Eb 2,14; 1 Gv 4,2),
nascendo da donna (cf. Gal 4,4), che «il Figlio di Dio si è
fatto figlio dell’uomo»[15] e
nostro fratello (cf. Eb 2,14). Così, in quanto Egli è
entrato a far parte della famiglia umana, «si è unito, in certo modo, ad ogni
uomo»[16] e
ha stabilito un nuovo ordine di rapporti con Dio, suo Padre, e con tutti gli
uomini, in cui possiamo essere incorporati per partecipare alla sua stessa
vita. In conseguenza, l’assunzione della carne, lungi dal limitare l’azione
salvifica di Cristo, gli permette di mediare in modo concreto la salvezza di
Dio per tutti i figli di Adamo.
11. In conclusione, per rispondere, sia al riduzionismo
individualista di tendenza pelagiana, sia a quello neo-gnostico che promette
una liberazione meramente interiore, bisogna ricordare il modo in cui Gesù è
Salvatore. Egli non si è limitato a mostrarci la via per incontrare Dio, una
via che potremmo poi percorrere per conto nostro, obbedendo alle sue parole e
imitando il suo esempio. Cristo, piuttosto, per aprirci la porta della
liberazione, è diventato Egli stesso la via: «Io sono la via» (Gv 14,6).[17] Inoltre,
questa via non è un percorso meramente interiore, al margine dei nostri
rapporti con gli altri e con il mondo creato. Al contrario, Gesù ci ha donato
una «via nuova e vivente che Egli ha inaugurato per noi attraverso [...] la sua
carne» (Eb 10,20). Insomma, Cristo è Salvatore in quanto ha assunto
la nostra umanità integrale e ha vissuto una vita umana piena, in comunione con
il Padre e con i fratelli. La salvezza consiste nell’incorporarci a questa sua
vita, ricevendo il suo Spirito (cf. 1 Gv 4,13). Egli è
diventato così, «in certo qual modo, il principio di ogni grazia secondo
l’umanità».[18] Egli
è, allo stesso tempo, il Salvatore e la Salvezza.
V. La Salvezza nella Chiesa, corpo di Cristo
12. Il luogo dove riceviamo la salvezza portata da Gesù è
la Chiesa, comunità di coloro che, essendo stati incorporati al nuovo ordine di
relazioni inaugurato da Cristo, possono ricevere la pienezza dello Spirito di
Cristo (cf. Rom 8,9). Comprendere questa mediazione salvifica
della Chiesa è un aiuto essenziale per superare ogni tendenza riduzionista. La
salvezza che Dio ci offre, infatti, non si ottiene con le sole forze
individuali, come vorrebbe il neo-pelagianesimo, ma attraverso i rapporti che
nascono dal Figlio di Dio incarnato e che formano la comunione della Chiesa.
Inoltre, dato che la grazia che Cristo ci dona non è, come pretende
la visione neo-gnostica, una salvezza meramente interiore, ma che
ci introduce nelle relazioni concrete che Lui stesso ha vissuto, la Chiesa è
una comunità visibile: in essa tocchiamo la carne di Gesù, in modo singolare
nei fratelli più poveri e sofferenti. Insomma, la mediazione salvifica della
Chiesa, «sacramento universale di salvezza»,[19] ci
assicura che la salvezza non consiste nell’auto-realizzazione dell’individuo
isolato, e neppure nella sua fusione interiore con il divino, ma nell’incorporazione
in una comunione di persone, che partecipa alla comunione della Trinità.
13. Sia la visione individualistica sia quella meramente
interiore della salvezza contraddicono anche l’economia sacramentale tramite la
quale Dio ha voluto salvare la persona umana. La partecipazione, nella Chiesa,
al nuovo ordine di rapporti inaugurati da Gesù avviene tramite i sacramenti,
tra i quali il Battesimo è la porta,[20] e
l’Eucaristia la sorgente e il culmine.[21] Si
vede così, da una parte, l’inconsistenza delle pretese di auto-salvezza, che
contano sulle sole forze umane. La fede confessa, al contrario, che siamo
salvati tramite il Battesimo, il quale ci imprime il carattere indelebile
dell’appartenenza a Cristo e alla Chiesa, da cui deriva la trasformazione del
nostro modo concreto di vivere i rapporti con Dio, con gli uomini e con il
creato (cf. Mt 28,19). Così, purificati dal peccato originale
e da ogni peccato, siamo chiamati ad una nuova esistenza conforme a Cristo (cf. Rom 6,4).
Con la grazia dei sette sacramenti, i credenti continuamente crescono e si
rigenerano, soprattutto quando il cammino si fa più faticoso e non mancano le
cadute. Quando essi, peccando, abbandonano il loro amore per Cristo, possono
essere reintrodotti, mediante il sacramento della Penitenza, all’ordine di
rapporti inaugurato da Gesù, per camminare come ha camminato Lui (cf. 1 Gv 2,6).
In questo modo guardiamo con speranza l’ultimo giudizio, in cui ogni persona
sarà giudicata sulla concretezza del suo amore (cf. Rom13,8-10),
specialmente verso i più deboli (cf. Mt 25,31-46).
14. L’economia salvifica sacramentale si oppone anche alle
tendenze che propongono una salvezza meramente interiore. Lo gnosticismo,
infatti, si associa ad uno sguardo negativo sull’ordine creaturale, compreso
come limitazione della libertà assoluta dello spirito umano. Di conseguenza, la
salvezza è vista come liberazione dal corpo e dalle relazioni concrete in cui
vive la persona. In quanto siamo salvati, invece, «per mezzo dell’offerta del
corpo di Gesù Cristo» (Eb 10,10; cf. Col 1,22), la
vera salvezza, lungi dall’essere liberazione dal corpo, include anche la sua
santificazione (cf. Rom 12,1). Il corpo umano è stato
modellato da Dio, il quale ha inscritto in esso un linguaggio che invita la
persona umana a riconoscere i doni del Creatore e a vivere in comunione con i
fratelli.[22] Il
Salvatore ha ristabilito e rinnovato, con la sua Incarnazione e il suo mistero
pasquale, questo linguaggio originario e ce lo ha comunicato nell’economia
corporale dei sacramenti. Grazie ai sacramenti i cristiani possono vivere in
fedeltà alla carne di Cristo e, in conseguenza, in fedeltà all’ordine concreto
di rapporti che Egli ci ha donato. Quest’ordine di rapporti richiede, in modo
particolare, la cura dell’umanità sofferente di tutti gli uomini, tramite le
opere di misericordia corporali e spirituali.[23]
VI. Conclusione: comunicare la fede, in attesa del
Salvatore
15. La consapevolezza della vita piena in cui Gesù
Salvatore ci introduce spinge i cristiani alla missione, per annunciare a tutti
gli uomini la gioia e la luce del Vangelo.[24] In
questo sforzo saranno anche pronti a stabilire un dialogo sincero e costruttivo
con i credenti di altre religioni, nella fiducia che Dio può condurre verso la
salvezza in Cristo «tutti gli uomini di buona volontà, nel cui cuore lavora
invisibilmente la grazia».[25] Mentre
si dedica con tutte le sue forze all’evangelizzazione, la Chiesa continua ad
invocare la venuta definitiva del Salvatore, poiché «nella speranza siamo stati
salvati» (Rom 8,24). La salvezza dell’uomo sarà compiuta solo
quando, dopo aver vinto l’ultimo nemico, la morte (cf. 1 Cor 15,26),
parteciperemo compiutamente alla gloria di Gesù risorto, che porterà a pienezza
la nostra relazione con Dio, con i fratelli e con tutto il creato. La salvezza
integrale, dell’anima e del corpo, è il destino finale al quale Dio chiama
tutti gli uomini. Fondati nella fede, sostenuti dalla speranza, operanti nella
carità, sull’esempio di Maria, la Madre del Salvatore e la prima dei salvati, siamo
certi che «la nostra cittadinanza è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore
il Signore Gesù Cristo, il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per
conformarlo al suo corpo glorioso, in virtù del potere che egli ha di
sottomettere a sé tutte le cose» (Fil 3,20-21).
Il Sommo Pontefice Francesco, in data 16 febbraio 2018, ha
approvato questa Lettera, decisa nella Sessione Plenaria di questa Congregazione
il 24 gennaio 2018, e ne ha ordinato la pubblicazione.
Dato a Roma, dalla Sede della Congregazione per la Dottrina
della Fede, il 22 febbraio 2018, Festa della Cattedra di San Pietro.
[2] Cf. Congregazione per la
Dottrina della Fede, Dich. Dominus Iesus (6 agosto 2000), nn. 5-8: AAS 92
(2000), 745-749.
[4] Cf. Id., Lett. enc. Lumen fidei (29 giugno 2013), n. 47: AAS 105
(2013), 586-587; Esort. apost. Evangelii gaudium, nn. 93-94: AAS (2013),
1059; Discorso ai rappresentanti
del V Convegno nazionale della Chiesa italiana, Firenze (10 novembre
2015): AAS 107 (2015), 1287.
[5] Cf. Id., Discorso ai rappresentanti
del V Convegno nazionale della Chiesa italiana, Firenze (10 novembre
2015): AAS 107 (2015), 1288.
[6] Cf. Id., Esort.
apost. Evangelii gaudium, n. 94: AAS 105
(2013), 1059: «il fascino dello gnosticismo, una fede rinchiusa nel
soggettivismo, dove interessa unicamente una determinata esperienza o una serie
di ragionamenti e conoscenze che si ritiene possano confortare e illuminare, ma
dove il soggetto in definitiva rimane chiuso nell’immanenza della sua propria
ragione o dei suoi sentimenti»; Pontificio Consiglio della Cultura ––
Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso, Gesù Cristo, portatore
dell’acqua viva. Una riflessione cristiana sul “New Age” (gennaio 2003), Città del
Vaticano 2003.
[8] Cf. Id., Discorso ai partecipanti al
pellegrinaggio della diocesi di Brescia (22 giugno 2013): AAS 95 (2013),
627: «in questo mondo dove si nega l’uomo, dove si preferisce andare sulla
strada dello gnosticismo, [...] del “niente carne” - un Dio che non si è fatto
carne [...]».
[9] Secondo l’eresia
pelagiana, sviluppatasi durante il secolo V intorno a Pelagio, l’uomo, per
compiere i comandamenti di Dio ed essere salvato, ha bisogno della grazia solo
come un aiuto esterno alla sua libertà (a modo di luce, esempio, forza), ma non
come una sanazione e rigenerazione radicale della libertà, senza merito previo,
affinché egli possa operare il bene e raggiungere la vita eterna. Più complesso
è il movimento gnostico, sorto nei secoli I e II, e che conosce forme molto
diverse tra di loro. In linea generale gli gnostici credevano che la salvezza
si ottiene attraverso una conoscenza esoterica o “gnosi”. Tale gnosi rivela
allo gnostico la sua vera essenza, vale a dire, una scintilla dello Spirito
divino che abita nella sua interiorità, la quale deve essere liberata dal
corpo, estraneo alla sua vera umanità. Solo in questo modo lo gnostico ritorna
al suo essere originario in Dio, da cui si era allontanato per una caduta
primordiale.
[13] Commissione Teologica Internazionale, Alcune questioni sulla
teologia della redenzione, 1995, n. 2: Commissione Teologica Internazionale Documenti
1969 –– 2004 (Bologna 2006), 500.
[14] Benedetto XVI, Lett. enc. Deus caritas est (25 dicembre 2005), n. 1: AAS 98
(2006), 217; cf. Francesco, Esort. apost. Evangelii gaudium, n. 3: AAS 105
(2013), 1020.
[17] Cf. Agostino, Tractatus in Ioannem, 13, 4: Corpus
Christianorum, 36, 132: «Io sono la via, la verità e la vita
(Gv 14,6). Se cerchi la verità segui la via; perché la via è lo stesso che la
verità. La meta cui tendi e la via che devi percorrere, sono la stessa cosa. Non
puoi giungere alla meta seguendo un’altra via; per altra via non puoi giungere
a Cristo: a Cristo puoi giungere solo per mezzo di Cristo. In che senso arrivi
a Cristo per mezzo di Cristo? Arrivi a Cristo Dio per mezzo di Cristo uomo; per
mezzo del Verbo fatto carne arrivi al Verbo che era in principio Dio presso
Dio».
[21] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 11; Cost. Sacrosanctum Concilium, n. 10.
[23] Cf. Id., Lett. apost. Misericordia et misera (20 novembre 2016) , n.
20: AAS 108 (2016), 1325-1326.
[24] Cf. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptoris missio (7 dicembre 1990), n. 40: AAS 83
(1991), 287-288; Francesco, Esort. apost. Evangelii gaudium, nn. 9-13: AAS 105
(2013), 1022-1025.
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