sabato 7 marzo 2020

8 marzo 2020

COMUNICAZIONE DEL PARROCO- 7 marzo 

Cari amici,

vi ho già inviato, via wattsapp, le disposizioni della nostra diocesi tramite il vicario generale. Ora vi avviso sull’iniziativa di questa domenica 8 marzo.
Dalle 8.00 di domani, la chiesa sarà aperta. 
Esporrò il Santissimo Sacramento per la preghiera personale, con alcuni sussidi a disposizione. 
È possibile anche fare la Comunione, tenendo presenti le rigorose norme sanitarie. Si potrà farla a piccoli gruppi, quando si vuole. 
Io sarò in Chiesa dalle 8.00 alle 11.45. 
Uniamoci nella preghiera: il Signore ci custodisca nella sua volontà, aiuti tutte le persone colpite da questa malattia e le loro famiglie.
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2a domenica di Quaresima - anno A

Dal libro della Genesi Gn 12,1-4

In quei giorni, il Signore disse ad Abram: «Vàttene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre, verso la terra che io ti indicherò. Farò di te una grande nazione e ti benedirò, renderò grande il tuo nome e possa tu essere una benedizione. Benedirò coloro che ti benediranno e coloro che ti malediranno maledirò, e in te si diranno benedette tutte le famiglie della terra».
Allora Abram partì, come gli aveva ordinato il Signore.
Parola di Dio.

SALMO RESPONSORIALE Dal Salmo 32 (33)

R. Donaci, Signore, il tuo amore: in te speriamo.
Retta è la parola del Signore
e fedele ogni sua opera.
Egli ama la giustizia e il diritto;
dell’amore del Signore è piena la terra.
Ecco, l’occhio del Signore è su chi lo teme,
su chi spera nel suo amore,
per liberarlo dalla morte
e nutrirlo in tempo di fame.
L’anima nostra attende il Signore:
egli è nostro aiuto e nostro scudo.
Su di noi sia il tuo amore, Signore,
come da te noi speriamo.

SECONDA LETTURA

Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo a Timoteo – 2 Tm 1,8b-10

Figlio mio, con la forza di Dio, soffri con me per il Vangelo. Egli infatti ci ha salvati e ci ha chiamati con una vocazione santa, non già in base alle nostre opere, ma secondo il suo progetto e la sua grazia. Questa ci è stata data in Cristo Gesù fin dall’eternità, ma è stata rivelata ora, con la manifestazione del salvatore nostro Cristo Gesù. Egli ha vinto la morte e ha fatto risplendere la vita e l’incorruttibilità per mezzo del Vangelo.
Parola di Dio.

VANGELO

Dal vangelo secondo Matteo Mt 17,1-9

In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. Ed ecco apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui.
Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Egli stava ancora parlando, quando una nube luminosa li coprì con la sua ombra. Ed ecco una voce dalla nube che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo».
All’udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse: «Alzatevi e non temete». Alzando gli occhi non videro nessuno, se non Gesù solo. Mentre scendevano dal monte, Gesù ordinò loro: «Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti».
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“Io credo che tu sei il Cristo” – CATECHESI ADULTI

Seconda domenica di Quaresima (2020)

Invocazione

Signore, trasfigurato nella luce, rivelati in noi perché, per quanto avvilita sia la tua immagine in noi, è pur sempre quella che tu stesso imprimesti.  Vogliamo illuminarci della tua luce: rendi valido il nostro volere! Dio, nostra forza, ricordati di averci creato perché giungiamo alla tua luce.  Amen!

Vangelo: Mt 17,1-9

Sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. Ed ecco apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui.
Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Egli stava ancora parlando, quando una nube luminosa li coprì con la sua ombra. Ed ecco una voce dalla nube che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo».
All’udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse: «Alzatevi e non temete». Alzando gli occhi non videro nessuno, se non Gesù solo.Mentre scendevano dal monte, Gesù ordinò loro: «Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti».

Commento al Vangelo

Sei giorni dopo... 

Questa indicazione temporale fa preciso riferimento a qualcosa che è accaduto prima…Ma cosa è accaduto? 
Nel capitolo precedente, il 16°, Gesù – riconosciuto da Pietro come «Cristo, il Figlio del Dio vivente» (16,16) – sconcerta i discepoli dicendo che per dare compimento alla sua identità ha davanti un destino di morte e sofferenza (16,21). Pietro non ci sta, ma la sua opposizione si scontra con il rimprovero di Gesù: “Va’ dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!”(16,23). 
Detto questo il Signore detta le condizioni della sequela: non mettere al centro se stessi e abbracciare la croce. Solo così si potrà trovare la vita! (16,25). 
Quindi in gioco ci sono i criteri per poter condividere il cammino di Gesù e il racconto della Trasfigurazione si fa carico di garantirne la verità e l’efficacia rispetto a un presente, segnato da un’ostilità per Gesù e per i suoi. 
Detto altrimenti: la meta per cui si fatica è raggiungibile o rimane un’illusione? 

La Trasfigurazione anticipa la meta di Gesù 

La selezione dei tre apostoli, che costituiscono la cerchia più intima di Gesù, conferisce particolare importanza all’episodio. Anche la salita su un alto monte concorre a creare un clima di solenne attesa perché è il luogo che la Bibbia riserva alla manifestazione di Dio. Infatti nell’Esodo Mosè vede il Signore e riceve le tavole proprio sul monte Oreb/Sinai. 
E’ Gesù a occupare il centro della scena. Si trasforma, assumendo una condizione che Matteo descrive ricorrendo all’immagine della luce: il volto diventa luminoso e la veste brillante. Con questo modo di raccontare l’evangelista vuole far capire che grazie a Gesù risplende sulla terra la luce stessa di Dio: egli ne è il segno tangibile della presenza.
 In questo c’é il riferimento alla fondamentale figura di Mosè. Anch’egli infatti è descritto come colui che porta al popolo la luce divina della Legge e, in Esodo in 34,29, si trova un’evidente richiamo al volto: “Quando Mosè scese dal monte Sinai [...] non sapeva che la pelle del suo viso era diventata raggiante, poiché aveva conversato con lui (Dio)”. 
Il riferimento a Mosè diviene evidente al v. 3, dove si narra che, accanto a lui è presente anche Elia ed entrambi sono in conversazione con Gesù. Ebbene, se Mosè rappresenta il dono della Legge, Elia – nella tradizione biblica – rappresenta il profeta per eccellenza, destinato da Dio a preparare la venuta del Messia. 
Nell’insieme la descrizione conferisce a Gesù un posto di assoluto rilievo nella 
storia di Dio con il suo popolo: finalmente quanto è stato messo in atto nella Legge e nella profezia per la salvezza, in Gesù trova una definitiva conferma. Come si afferma nel vangelo di san Giovanni: “Chi vede me (cioè Gesù), vede colui che mi ha mandato” (12,45). 
Questo racconto vuole dimostrare ai discepoli che le parole di Gesù sulla sua sorte di sofferenza e di morte non sono il fallimento della sua vicenda. 
Il cammino che conduce alla croce non si ferma ad essa, ma – nella Risurrezione – mostra la grandezza definitiva di Gesù che porta alla comunione con Dio. 
Per dirla in un modo più semplice, Gesù, manifestando in anticipo la sua gloria, permette ai discepoli di buttare il cuore oltre l’ostacolo: ora hanno un tangibile anticipo del fatto che la loro sequela sulla via della croce non porta alla sconfitta, ma alla gloria. 
Questo vale per tutti noi: se sappiamo dove mira il cammino, anche gli ostacoli più difficili si possono superare. A maggior ragione se ad aprire la strada è lo stesso Figlio di Dio. 

La reazione di Pietro e l’intervento di Dio 

Di fronte a un tale spettacolo, Pietro ha una strana reazione: vuole costruire tre tende. Ma cosa intende Matteo con questa domanda dell’apostolo? 
Si possono dare due risposte diverse, ma non contraddittorie.

La prima si appoggia all’affermazione entusiasta di Pietro: «E’ bello per noi stare qui» (v. 4). 
È affascinato della condizione celestiale e maestosa in cui si trova il suo Maestro: perché non dimenticare tutto il resto – gli altri amici e la fatica del cammino – e starcene qui? Non si può arrivare alla meta aggirando la parte più esigente del percorso? 
La tentazione è allettante, ma impossibile da realizzare: la vita non si compie stando fermi: l’immobilità e il disimpegno sfociano nell’insignificanza e nella superficialità. Come dice Gesù in Matteo 12,30: “Chi non è con me è contro di me, e chi non raccoglie con me disperde.”Non si può non scegliere! 

La seconda spiegazione riguarda la valutazione che i lettori di Matteo devono dare alla persona di Gesù. Infatti Pietro, con le tre tende per ciascuno dei tre (così suona il greco), rischia di allineare Gesù alle altre due figure del Primo Testamento. Agli occhi di Matteo Mosè ed Elia sono senz’altro molto importanti, ma restano comunque dei servitori di Dio. Gesù, invece, è assolutamente superiore, perché ne è la diretta manifestazione. 
A confermare la grandezza di Gesù, interviene la stessa autorità di Dio al v. 5. Lì vi sono le stesse parole presenti anche nel racconto del Battesimo (come in 3,17: “Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento”, ma con un’aggiunta decisiva: “Ascoltatelo!”
Alla domanda in che cosa consista questo ascolto, si risponde con le parole del capitolo che precede la Trasfigurazione:

Matteo 16, 24-25«Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà. Infatti quale vantaggio avrà un uomo se guadagnerà il mondo intero, ma perderà la propria vita? O che cosa un uomo potrà dare in cambio della propria vita?». 

Sono parole sconvolgenti perché mettono assieme la ricerca della propria realizzazione, con la disponibilità a mettere in gioco l’esistenza secondo le
esigenze del Vangelo. Gesù che si trasfigura e che mostra tutta la sua gloria anticipa l’esito del cammino suo e dei suoi discepoli. Andare sulla strada del vangelo, croce compresa, non prevede sicura sconfitta, ma custodisce la vittoria ed è aperto a una relazione ricca e appagante. Anche i discepoli, come Gesù e grazie a lui, sanno di poter dialogare con Mosè ed Elia e con loro godere della compagnia di Dio e del Risorto. 
Val quindi la pena camminare dietro Gesù. 

Preghiera sul Vangelo

Quel giorno, sul monte, tu, Gesù, ti sei manifestato nella tua gloria ai tre apostoli ed essi hanno avvertito la tentazione di fermarsi, di arrestare per sempre il loro percorso per godere all'infinito di quella consolazione straordinaria. Anch'io, quando ti sento vicino, vorrei dimenticare che c'è una strada che mi attende e passa per il Calvario.
Quel giorno, sul monte, il tuo volto, Gesù, ha brillato come il sole:
una visione donata perché non venissero meno quando ti avrebbero visto sfigurato dal dolore, inchiodato alla croce. Anche a me tu regali istanti di luce e di splendore, ma lo fai perché affronti fiducioso anche i passaggi oscuri. Quel giorno, sul monte, i tre apostoli hanno udito la voce del Padre che li invitava ad ascoltare il suo Figlio. 
Ed è proprio la tua Parola che continua ad accompagnarci in ogni momento, anche nel cuore della notte più profonda.

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 IL MESSAGGIO PER LA GMG
Il Papa ai giovani: alzatevi e apritevi alla realtà vera 

«Giovane, dico a te, alzati». È il tema scelto da papa Francesco per la Giornata mondiale della gioventù del 2020 che verrà celebrata nella Domenica delle Palme a livello diocesano, il prossimo 5 aprile. Con questo messaggio si apre ufficialmente il cammino che porterà i giovani al prossimo incontro internazionale della Gmg, che si svolgerà - come annunciato lo scorso anno a conclusione di quella di Panama - nella capitale del Portogallo, Lisbona nel 2022. «Da quella città – ricorda Francesco nel suo Messaggio diffuso ieri –nei secoli XV e XVI moltissimi giovani, tra cui tanti missionari, sono partiti per terre sconosciute, anche per condividere la loro esperienza di Gesù con altri popoli e nazioni». Indicato anche il tema per la Gmg diocesana del 2021: «Alzati. Ti costituisco testimone di quel che hai visto», mentre quello che caratterizzerà l’appuntamento internazionale portoghese nel 2022 avrà al centro la Vergine: «Maria si alzò e andò in fretta».
“Giovane, dico a te, alzati!” (cfr Lc 7,14)

Carissimi giovani, nell’ottobre 2018, con il Sinodo dei vescovi sul tema I giovani, la fede e il discernimento vocazionale, la Chiesa ha intrapreso un processo di riflessione sulla vostra condizione nel mondo di oggi, sulla vostra ricerca di un senso e un progetto nella vita, sul vostro rapporto con Dio. Nel gennaio 2019, ho incontrato centinaia di migliaia di vostri coetanei di tutto il mondo, radunati a Panamá per la Giornata Mondiale della Gioventù. Eventi di questo tipo – Sinodo e Gmg – esprimono una dimensione essenziale della Chiesa: il “camminare insieme”. In questo cammino, ogni volta che raggiungiamo una pietra miliare importante, siamo sfidati da Dio e dalla vita stessa a ripartire. Voi giovani siete esperti in questo! Amate viaggiare, confrontarvi con luoghi e volti mai visti prima, vivere esperienze nuove. Perciò ho scelto come meta del vostro prossimo pellegrinaggio intercontinentale, nel 2022, la città di Lisbona, capitale del Portogallo. Da lì, nei secoli XV e XVI, moltissimi giovani, tra cui tanti missionari, sono partiti verso terre sconosciute, anche per condividere la loro esperienza di Gesù con altri popoli e nazioni. Il tema della Gmg di Lisbona sarà: «Maria si alzò e andò in fretta» ( Lc
1,39). Nei due anni precedenti, ho pensato di riflettere insieme a voi su altri due testi biblici: “Giovane, dico a te, alzati!” (cfr Lc 7,14), nel 2020, e “Alzati! Ti costituisco testimone di quel che hai visto” (cfr At 26,16), nel 2021.
Come potete vedere, il verbo comune ai tre temi è alzarsi. Questa espressione assume anche il significato di risorgere, risvegliarsi alla vita. è un verbo ricorrente nell’Esortazione Christus vivit (Cristo vive!), che vi ho dedicato dopo il Sinodo del 2018 e che, insieme al Documento finale, la Chiesa vi offre come un faro per illuminare i sentieri della vostra esistenza. Spero con tutto il cuore che il cammino che ci porterà a Lisbona coincida nella Chiesa intera con un forte impegno per l’attuazione di questi due documenti, orientando la missione degli animatori della pastorale giovanile.
Passiamo adesso al nostro tema di quest’anno: Giovane, dico a te, alzati!(cfr Lc 7,14). Ho già citato questo versetto del Vangelo nella Christus  vivit:«Se hai perso il vigore interiore, i sogni, l’entusiasmo, la speranza e la generosità, davanti a te si presenta Gesù come si presentò davanti al figlio morto della vedova, e con tutta la sua potenza di Risorto il Signore ti esorta: “Ragazzo, dico a te, alzati!” » (n. 20).
Questo brano ci racconta come Gesù, entrando nella cittadina di Nain, in Galilea, s’imbatte in un corteo funebre che accompagna alla sepoltura un giovane, figlio unico di una madre vedova. Gesù, colpito dal dolore straziante di questa donna, compie il miracolo di risuscitare suo figlio. Ma il miracolo giunge dopo una sequenza di atteggiamenti e di gesti: «Vedendola, il Signore fu preso da grande compassione per lei e le disse: “Non piangere!”. Si avvicinò e toccò la bara, mentre i portatori si fermarono» ( Lc7,13-14). Fermiamoci a meditare su alcuni di questi gesti e parole del Signore.

Vedere il dolore e la morte

Gesù pone su questa processione funebre uno sguardo attento e non distratto. In mezzo alla folla scorge il volto di una donna in estrema sofferenza. Il suo sguardo genera l’incontro, fonte di vita nuova. Non c’è bisogno di tante parole. E il mio sguardo, com’è? Guardo con occhi attenti, oppure come quando sfoglio velocemente le migliaia di foto nel mio cellulare o i profili social? Quante volte oggi ci capita di essere testimoni oculari di tanti eventi, senza però mai viverli in presa diretta! A volte la nostra prima reazione è di riprendere la scena col telefonino, magari tralasciando di guardare negli occhi le persone coinvolte.
Intorno a noi, ma a volte anche dentro di noi, incontriamo realtà di morte: fisica, spirituale, emotiva, sociale. Ce ne accorgiamo o semplicemente ne subiamo le conseguenze? C’è qualcosa che possiamo fare per riportare vita? Penso a tante situazioni negative vissute da vostri coetanei. C’è chi, per esempio, si gioca tutto nell’oggi, mettendo in pericolo la propria vita con esperienze estreme. Altri giovani invece sono “morti” perché hanno perso la speranza. Ho sentito da una ragazza: «Tra i miei amici vedo che si è persa la spinta a mettersi in gioco, il coraggio di alzarsi». Purtroppo anche tra i giovani si diffonde la depressione, che in alcuni casi può portare persino alla tentazione di togliersi la vita. Quante situazioni in cui regna l’apatia, in cui ci si perde nell’abisso delle angosce e dei rimorsi! Quanti giovani piangono senza che nessuno ascolti il grido della loro anima! Intorno a loro tante volte sguardi distratti, indifferenti, di chi magari si gode le proprie happy hour tenendosi a distanza.
C’è chi vivacchia nella superficialità, credendosi vivo mentre dentro è
morto (cfr Ap 3,1). Ci si può ritrovare a vent’anni a trascinare una vita verso il basso, non all’altezza della propria dignità. Tutto si riduce a un “lasciarsi vivere” cercando qualche gratificazione: un po’ di divertimento, qualche briciola di attenzione e di affetto da parte degli altri... C’è anche un diffuso narcisismo digitale, che influenza sia giovani che adulti. Tanti vivono così! Alcuni di loro forse hanno respirato intorno a sé il materialismo di chi pensa soltanto a fare soldi e sistemarsi, quasi fossero gli unici scopi della vita. A lungo andare comparirà inevitabilmente un sordo malessere, un’apatia, una noia di vivere, via via sempre più angosciante.
Gli atteggiamenti negativi possono essere provocati anche dai fallimenti personali, quando qualcosa che stava a cuore, per cui ci si era impegnati, non va più avanti o non raggiunge i risultati sperati. Può succedere in campo scolastico, o con le ambizioni sportive, artistiche... La fine di un “sogno” può far sentire morti. Ma i fallimenti fanno parte della vita di ogni essere umano, e a volte possono anche rivelarsi una grazia! Spesso qualcosa che pensavamo ci desse felicità si rivela un’illusione, un idolo. Gli idoli pretendono tutto da noi rendendoci schiavi, ma non danno niente in cambio. E alla fine franano, lasciando solo polvere e fumo. In questo senso i fallimenti, se fanno crollare gli idoli, sono un bene, anche se ci fanno soffrire.
Si potrebbe continuare con altre condizioni di morte fisica o morale in cui un giovane può trovarsi, come le dipendenze, il crimine, la miseria, una malattia grave… Ma lascio a voi di riflettere personalmente e prendere coscienza di ciò che ha causato “morte” in voi o in qualcuno a voi vicino, nel presente o nel passato. Nello stesso tempo, ricordate che quel ragazzo del Vangelo, che era morto per davvero, è tornato in vita perché è stato guardato da Qualcuno che voleva che vivesse. Questo può avvenire ancora oggi e ogni giorno.

Avere pietà

Le Sacre Scritture riportano spesso lo stato d’animo di chi si lascia toccare “fino alle viscere” dal dolore altrui. La commozione di Gesù lo rende partecipe della realtà dell’altro. Prende su di sé la miseria dell’altro. Il dolore di quella madre diventa il suo dolore. La morte di quel figlio diventa la sua morte.
In tante occasioni voi giovani dimostrate di saper con-patire. Basta vedere quanti di voi si donano con generosità quando le circostanze lo richiedono. Non c’è disastro, terremoto, alluvione che non veda schiere di giovani volontari rendersi disponibili a dare una mano. Anche la grande mobilitazione di giovani che vogliono difendere il creato dà testimonianza della vostra capacità di udire il grido della terra.
Cari giovani, non lasciatevi rubare questa sensibilità! Possiate sempre ascoltare il gemito di chi soffre; lasciarvi commuovere da coloro che piangono e muoiono nel mondo di oggi. «Certe realtà della vita si vedono soltanto con gli occhi puliti dalle lacrime» (Christus vivit, 76). Se saprete piangere con chi piange, sarete davvero felici. Tanti vostri coetanei mancano di opportunità, subiscono violenze, persecuzioni. Che le loro ferite diventino le vostre, e sarete portatori di speranza in questo mondo. Potrete dire al fratello, alla sorella: «Alzati, non sei solo», e far sperimentare che Dio Padre ci ama e Gesù è la sua mano tesa per risollevarci.

Avvicinarsi e “toccare”

Gesù ferma il corteo funebre. Si avvicina, si fa prossimo. La vicinanza si spinge oltre e si fa gesto coraggioso affinché l’altro viva. Gesto profetico. È il tocco di Gesù, il Vivente, che comunica la vita. Un tocco che infonde lo Spirito Santo nel corpo morto del ragazzo e riaccende le sue funzioni vitali.
Quel tocco penetra nella realtà di sconforto e disperazione. È il tocco del Divino, che passa anche attraverso l’autentico amore umano e apre spazi impensabili di libertà, dignità, speranza, vita nuova e piena. L’efficacia di questo gesto di Gesù è incalcolabile. Esso ci ricorda che anche un segno di vicinanza, semplice ma concreto, può suscitare forze di risurrezione.
Sì, anche voi giovani potete avvicinarvi alle realtà di dolore e di morte che incontrate, potete toccarle e generare vita come Gesù. Questo è possibile, grazie allo Spirito Santo, se voi per primi siete stati toccati dal suo amore, se il vostro cuore è intenerito per l’esperienza della sua bontà verso di voi. Allora, se sentite dentro la struggente tenerezza di Dio per ogni creatura vivente, specialmente per il fratello affamato, assetato, malato, nudo, carcerato, allora potrete avvicinarvi come Lui, toccare come Lui, e trasmettere la sua vita ai vostri amici che sono morti dentro, che soffrono o hanno perso la fede e la speranza.

“Giovane, dico a te, alzati!”

Il Vangelo non dice il nome di quel ragazzo risuscitato da Gesù a Nain. Questo è un invito al lettore a immedesimarsi in lui. Gesù parla a te, a me, a ognuno di noi, e dice: “Alzati!”. Sappiamo bene che anche noi cristiani cadiamo e ci dobbiamo sempre rialzare. Solo chi non cammina non cade, ma non va nemmeno avanti. Per questo bisogna accogliere l’intervento di Cristo e fare un atto di fede in Dio. Il primo passo è accettare di alzarsi. La nuova vita che Egli ci darà sarà buona e degna di essere vissuta, perché sarà sostenuta da Qualcuno che ci accompagnerà anche in futuro senza mai lasciarci, aiutandoci a spendere questa nostra esistenza in modo degno e fecondo.
È realmente una nuova creazione, una nuova nascita. Non è un condizionamento psicologico. Probabilmente, nei momenti di difficoltà, tanti di voi vi sarete sentiti ripetere le parole “magiche” che oggi vanno di moda e dovrebbero risolvere tutto: “Devi credere in te stesso”, “Devi trovare le risorse dentro di te”, “Devi prendere coscienza della tua energia positiva”... Ma tutte queste sono semplici parolee per chi è veramente “morto dentro” non funzionano. La parola di Cristo è di un altro spessore, è infinitamente superiore. È una parola divina e creatrice, che sola può riportare la vita dove questa si era spenta.
La nuova vita “da risorti”
Il giovane, dice il Vangelo, «cominciò a parlare » ( Lc 7,15). La prima reazione di una persona che è stata toccata e restituita alla vita da Cristo è esprimersi, manifestare senza paura e senza complessi ciò che ha dentro, la sua personalità, i suoi desideri, i suoi bisogni, i suoi sogni. Forse prima non l’aveva mai fatto, era convinta che nessuno potesse capirla!
Parlare significa anche entrare in relazione con gli altri. Quando si è “morti” ci si chiude in sé stessi, i rapporti si interrompono, oppure diventano superficiali, falsi, ipocriti. Quando Gesù ci ridona la vita, ci “restituisce” agli altri (cfr v. 15). Oggi spesso c’è “connessione” ma non comunicazione. L’uso dei dispositivi elettronici, se non è equilibrato, può farci restare sempre incollati a uno schermo. Con questo messaggio vorrei anche lanciare, insieme a voi giovani, la sfida di una svolta culturale, a partire da questo “Alzati!” di Gesù. In una cultura che vuole i giovani isolati e ripiegati su mondi virtuali, facciamo circolare questa parola di Gesù: “Alzati!”. È un invito ad aprirsi a una realtà che va ben oltre il virtuale. Ciò non significa disprezzare la tecnologia, ma utilizzarla come un mezzo e non come un fine. “Alzati” significa anche “sogna”, “rischia”, “impegnati per cambiare il mondo”, riaccendi i tuoi desideri, contempla il cielo, le stelle, il mondo intorno a te. “Alzati e diventa ciò che sei!”. Grazie a questo messaggio, tanti volti spenti di giovani intorno a noi si animeranno e diventeranno molto più belli di qualsiasi realtà virtuale.
Perché se tu doni la vita, qualcuno la accoglie. Una giovane ha detto: “Ti alzi dal divano se vedi qualcosa di bello e decidi di farlo anche tu”. Ciò che è bello suscita passione. E se un giovane si appassiona di qualcosa, o meglio, di Qualcuno, finalmente si alza e comincia a fare cose grandi; da morto che era, può diventare testimone di Cristo e dare la vita per Lui.
Cari giovani, quali sono le vostre passioni e i vostri sogni? Fateli emergere, e attraverso di essi proponete al mondo, alla Chiesa, ad altri giovani, qualcosa di bello nel campo spirituale, artistico, sociale. Vi ripeto nella mia lingua materna: hagan lìo! Fatevi sentire! Da un altro giovane ho sentito dire: “Se Gesù fosse stato uno che si fa gli affari suoi, il figlio della vedova non sarebbe risuscitato”.
La risurrezione del ragazzo lo ricongiunse a sua madre. In questa madre possiamo vedere Maria, nostra Madre, alla quale affidiamo tutti i giovani del mondo. In lei possiamo riconoscere pure la Chiesa, che vuole accogliere con tenerezza ogni giovane, nessuno escluso. Preghiamo dunque Maria per la Chiesa, affinché sia sempre madre dei suoi figli che sono nella morte, piangendo e invocando la loro rinascita. Per ogni suo figlio che muore, muore anche la Chiesa, e per ogni figlio che risorge, anch’essa risorge.
Benedico il vostro cammino. E voi, per favore, non dimenticatevi di pregare per me.

Roma, San Giovanni in Laterano, 11 febbraio 2020, Memoria della Beata Vergine Maria di Lourdes