..alla comclusione dell'anno civile, secondo la
grande tradizione di fede, ascoltiamo e preghiamo il TE DEUM,
canto di ringraziamento al Signore per i suoi benefici..
Noi ti lodiamo, Dio *
ti proclamiamo Signore.
O eterno Padre, *
tutta la terra ti adora.
grande tradizione di fede, ascoltiamo e preghiamo il TE DEUM,
canto di ringraziamento al Signore per i suoi benefici..
Noi ti lodiamo, Dio *
ti proclamiamo Signore.
O eterno Padre, *
tutta la terra ti adora.
A te cantano gli angeli *
e tutte le potenze dei cieli:
Santo, Santo, Santo *
il Signore Dio dell'universo.
I cieli e la terra *
sono pieni della tua gloria.
Ti acclama il coro degli apostoli *
e la candida schiera dei martiri;
le voci dei profeti si uniscono nella tua lode; *
la santa Chiesa proclama la tua gloria,
adora il tuo unico figlio, *
e lo Spirito Santo Paraclito.
O Cristo, re della gloria, *
eterno Figlio del Padre,
tu nascesti dalla Vergine Madre *
per la salvezza dell'uomo.
Vincitore della morte, *
hai aperto ai credenti il regno dei cieli.
Tu siedi alla destra di Dio, nella gloria del Padre. *
Verrai a giudicare il mondo alla fine dei tempi.
Soccorri i tuoi figli, Signore, *
che hai redento col tuo sangue prezioso.
Accoglici nella tua gloria *
nell'assemblea dei santi.
Salva il tuo popolo, Signore, *
guida e proteggi i tuoi figli.
Ogni giorno ti benediciamo, *
lodiamo il tuo nome per sempre.
Degnati oggi, Signore, *
di custodirci senza peccato.
Sia sempre con noi la tua misericordia: *
in te abbiamo sperato.
Pietà di noi, Signore, *
pietà di noi.
Tu sei la nostra speranza, *
non saremo confusi in eterno.
**************************************************************
Parrocchia Beato
Andrea da Peschiera
Solennità
di Maria SS. Madre di Dio
Preghiera dei fedeli
Donaci, Signore, la tua pace!
Signore, in
questa giornata mondiale della pace,
ti affidiamo tutti i popoli della terra. Possono veder crescere la giustizia e
la pace. Sostieni coloro che lottano contro la miseria e la fame e quanti sono
disposti a condividere i beni di cui dispongono. Preghiamo
Signore, ti
preghiamo per le comunità cristiane. Rendile segno di speranza per tutti coloro
che desiderano incontrare te e vivere da fratelli. Trovino sempre una parola che li apra alla fede e a gesti di
solidarietà. Preghiamo
Signore ti supplichiamo per gli
uomini dalle donne che sono segnati dalla fatica e dalla delusione e per tutti quelli che non sperano più in una
esistenza migliore. Desta in loro uno slancio nuovo. Preghiamo.
Signore, ti
affidiamo il nuovo anno, per l’intercessione di Maria, tua Madre. Rendici
sempre attenti alla tua parola, perché la meditiamo nel cuore e la mettiamo in
pratica, come lei ha fatto. Preghiamo
**************************************************************
MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
PER LA CELEBRAZIONE DELLA
49a GIORNATA MONDIALE DELLA PACE
PER LA CELEBRAZIONE DELLA
49a GIORNATA MONDIALE DELLA PACE
1° GENNAIO 2016
Vinci l’indifferenza e conquista la
pace
1.
Dio non è indifferente! A Dio importa dell’umanità, Dio non l’abbandona! All’inizio
del nuovo anno, vorrei accompagnare con questo mio profondo convincimento gli
auguri di abbondanti benedizioni e di pace, nel segno della speranza, per il
futuro di ogni uomo e ogni donna, di ogni famiglia, popolo e nazione del mondo,
come pure dei Capi di Stato e di Governo e dei Responsabili delle religioni.
Non perdiamo, infatti, la speranza che il 2016 ci veda tutti fermamente e
fiduciosamente impegnati, a diversi livelli, a realizzare la giustizia e
operare per la pace. Sì, quest’ultima è dono di Dio e opera degli uomini. La
pace è dono di Dio, ma affidato a tutti gli uomini e a tutte le donne, che sono
chiamati a realizzarlo.
Custodire le ragioni della speranza
2.
Le guerre e le azioni terroristiche, con le loro tragiche conseguenze, i
sequestri di persona, le persecuzioni per motivi etnici o religiosi, le
prevaricazioni, hanno segnato dall’inizio alla fine lo scorso anno
moltiplicandosi dolorosamente in molte regioni del mondo, tanto da assumere le
fattezze di quella che si potrebbe chiamare una “terza guerra mondiale a
pezzi”. Ma alcuni avvenimenti degli anni passati e dell’anno appena trascorso
mi invitano, nella prospettiva del nuovo anno, a rinnovare l’esortazione a non
perdere la speranza nella capacità dell’uomo, con la grazia di Dio, di superare
il male e a non abbandonarsi alla rassegnazione e all’indifferenza. Gli
avvenimenti a cui mi riferisco rappresentano la capacità dell’umanità di
operare nella solidarietà, al di là degli interessi individualistici,
dell’apatia e dell’indifferenza rispetto alle situazioni critiche.
Tra
questi vorrei ricordare lo sforzo fatto per favorire l’incontro dei leader
mondiali, nell’ambito della COP 21, al fine di cercare nuove vie per affrontare
i cambiamenti climatici e salvaguardare il benessere della Terra, la nostra
casa comune. E questo rinvia a due precedenti eventi di livello globale: il
Summit di Addis Abeba per raccogliere fondi per lo sviluppo sostenibile del
mondo; e l’adozione, da parte delle Nazioni Unite,dell’Agenda 2030 per lo
Sviluppo Sostenibile, finalizzata ad assicurare un’esistenza più dignitosa a
tutti, soprattutto alle popolazioni povere del pianeta, entro quell’anno.
Il
2015 è stato un anno speciale per la Chiesa, anche perché ha segnato il 50°
anniversario della pubblicazione di due documenti del Concilio Vaticano II che
esprimono in maniera molto eloquente il senso di solidarietà della Chiesa con
il mondo. Papa Giovanni XXIII, all’inizio del Concilio, volle spalancare le
finestre della Chiesa affinché tra essa e il mondo fosse più aperta la
comunicazione. I due documenti, Nostra aetate e Gaudium et spes, sono espressioni emblematiche
della nuova relazione di dialogo, solidarietà e accompagnamento che la Chiesa
intendeva introdurre all’interno dell’umanità. Nella Dichiarazione Nostra aetate la Chiesa è stata chiamata ad
aprirsi al dialogo con le espressioni religiose non cristiane. Nella
Costituzione pastorale Gaudium et spes, dal momento che «le gioie e le
speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto
e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze
e le angosce dei discepoli di Cristo» [1], la Chiesa desiderava instaurare un
dialogo con la famiglia umana circa i problemi del mondo, come segno di
solidarietà e di rispettoso affetto [2].
In
questa medesima prospettiva, con il Giubileo della Misericordia voglio invitare la Chiesa a pregare
e lavorare perché ogni cristiano possa maturare un cuore umile e
compassionevole, capace di annunciare e testimoniare la misericordia, di
«perdonare e di donare», di aprirsi «a quanti vivono nelle più disparate
periferie esistenziali, che spesso il mondo moderno crea in maniera
drammatica», senza cadere «nell’indifferenza che umilia, nell’abitudinarietà
che anestetizza l’animo e impedisce di scoprire la novità, nel cinismo che
distrugge» [3].
Ci
sono molteplici ragioni per credere nella capacità dell’umanità di agire
insieme in solidarietà, nel riconoscimento della propria interconnessione e
interdipendenza, avendo a cuore i membri più fragili e la salvaguardia del bene
comune. Questo atteggiamento di corresponsabilità solidale è alla radice della
vocazione fondamentale alla fratellanza e alla vita comune. La dignità e le
relazioni interpersonali ci costituiscono in quanto esseri umani, voluti da Dio
a sua immagine e somiglianza. Come creature dotate di inalienabile dignità noi
esistiamo in relazione con i nostri fratelli e sorelle, nei confronti dei quali
abbiamo una responsabilità e con i quali agiamo in solidarietà. Al di fuori di
questa relazione, ci si troverebbe ad essere meno umani. E’ proprio per questo
che l’indifferenza costituisce una minaccia per la famiglia umana. Mentre ci
incamminiamo verso un nuovo anno, vorrei invitare tutti a riconoscere questo
fatto, per vincere l’indifferenza e conquistare la pace.
Alcune forme di indifferenza
3.
Certo è che l’atteggiamento dell’indifferente, di chi chiude il cuore per non
prendere in considerazione gli altri, di chi chiude gli occhi per non vedere
ciò che lo circonda o si scansa per non essere toccato dai problemi altrui,
caratterizza una tipologia umana piuttosto diffusa e presente in ogni epoca
della storia. Tuttavia, ai nostri giorni esso ha superato decisamente l’ambito
individuale per assumere una dimensione globale e produrre il fenomeno della
“globalizzazione dell’indifferenza”.
La
prima forma di indifferenza nella società umana è quella verso Dio, dalla quale
scaturisce anche l’indifferenza verso il prossimo e verso il creato. È questo
uno dei gravi effetti di un umanesimo falso e del materialismo pratico,
combinati con un pensiero relativistico e nichilistico. L’uomo pensa di essere
l’autore di sé stesso, della propria vita e della società; egli si sente
autosufficiente e mira non solo a sostituirsi a Dio, ma a farne completamente a
meno; di conseguenza, pensa di non dovere niente a nessuno, eccetto che a sé
stesso, e pretende di avere solo diritti [4]. Contro questa autocomprensione erronea
della persona, Benedetto XVI ricordava che né l’uomo né il suo
sviluppo sono capaci di darsi da sé il proprio significato ultimo [5]; e prima di lui Paolo VI aveva affermato che «non vi è umanesimo vero se non aperto
verso l’Assoluto, nel riconoscimento di una vocazione, che offre l’idea vera
della vita umana» [6].
L’indifferenza
nei confronti del prossimo assume diversi volti. C’è chi è ben informato,
ascolta la radio, legge i giornali o assiste a programmi televisivi, ma lo fa
in maniera tiepida, quasi in una condizione di assuefazione: queste persone
conoscono vagamente i drammi che affliggono l’umanità ma non si sentono
coinvolte, non vivono la compassione. Questo è l’atteggiamento di chi sa, ma
tiene lo sguardo, il pensiero e l’azione rivolti a sé stesso. Purtroppo
dobbiamo constatare che l’aumento delle informazioni, proprio del nostro tempo,
non significa di per sé aumento di attenzione ai problemi, se non è
accompagnato da un’apertura delle coscienze in senso solidale [7]. Anzi, esso può comportare una certa
saturazione che anestetizza e, in qualche misura, relativizza la gravità dei
problemi. «Alcuni semplicemente si compiacciono incolpando i poveri e i paesi
poveri dei propri mali, con indebite generalizzazioni, e pretendono di trovare
la soluzione in una “educazione” che li tranquillizzi e li trasformi in esseri
addomesticati e inoffensivi. Questo diventa ancora più irritante se gli esclusi
vedono crescere questo cancro sociale che è la corruzione profondamente
radicata in molti Paesi – nei governi, nell’imprenditoria e nelle istituzioni –
qualunque sia l’ideologia politica dei governanti» [8].
In
altri casi, l’indifferenza si manifesta come mancanza di attenzione verso la
realtà circostante, specialmente quella più lontana. Alcune persone
preferiscono non cercare, non informarsi e vivono il loro benessere e la loro
comodità sorde al grido di dolore dell’umanità sofferente. Quasi senza
accorgercene, siamo diventati incapaci di provare compassione per gli altri,
per i loro drammi, non ci interessa curarci di loro, come se ciò che accade ad
essi fosse una responsabilità estranea a noi, che non ci compete [9]. «Quando noi stiamo bene e ci sentiamo
comodi, certamente ci dimentichiamo degli altri (cosa che Dio Padre non fa
mai), non ci interessano i loro problemi, le loro sofferenze e le ingiustizie
che subiscono… Allora il nostro cuore cade nell’indifferenza: mentre io sto
relativamente bene e comodo, mi dimentico di quelli che non stanno bene» [10].
Vivendo
in una casa comune, non possiamo non interrogarci sul suo stato di salute, come
ho cercato di fare nella Laudato si’. L’inquinamento delle acque e
dell’aria, lo sfruttamento indiscriminato delle foreste, la distruzione
dell’ambiente, sono sovente frutto dell’indifferenza dell’uomo verso gli altri,
perché tutto è in relazione. Come anche il comportamento dell’uomo con gli
animali influisce sulle sue relazioni con gli altri [11], per non parlare di chi si permette di
fare altrove quello che non osa fare in casa propria[12].
In
questi ed in altri casi, l’indifferenza provoca soprattutto chiusura e
disimpegno, e così finisce per contribuire all’assenza di pace con Dio, con il
prossimo e con il creato.
La pace minacciata dall’indifferenza globalizzata
4.
L’indifferenza verso Dio supera la sfera intima e spirituale della singola
persona ed investe la sfera pubblica e sociale. Come affermava Benedetto XVI, «esiste un’intima connessione tra
la glorificazione di Dio e la pace degli uomini sulla terra» [13]. Infatti, «senza un’apertura
trascendente, l’uomo cade facile preda del relativismo e gli riesce poi
difficile agire secondo giustizia e impegnarsi per la pace» [14]. L’oblio e la negazione di Dio, che
inducono l’uomo a non riconoscere più alcuna norma al di sopra di sé e a
prendere come norma soltanto sé stesso, hanno prodotto crudeltà e violenza
senza misura [15].
A
livello individuale e comunitario l’indifferenza verso il prossimo, figlia di
quella verso Dio, assume l’aspetto dell’inerzia e del disimpegno, che
alimentano il perdurare di situazioni di ingiustizia e grave squilibrio
sociale, le quali, a loro volta, possono condurre a conflitti o, in ogni caso,
generare un clima di insoddisfazione che rischia di sfociare, presto o tardi,
in violenze e insicurezza.
In
questo senso l’indifferenza, e il disimpegno che ne consegue, costituiscono una
grave mancanza al dovere che ogni persona ha di contribuire, nella misura delle
sue capacità e del ruolo che riveste nella società, al bene comune, in
particolare alla pace, che è uno dei beni più preziosi dell’umanità [16].
Quando
poi investe il livello istituzionale, l’indifferenza nei confronti dell’altro,
della sua dignità, dei suoi diritti fondamentali e della sua libertà, unita a
una cultura improntata al profitto e all’edonismo, favorisce e talvolta giustifica
azioni e politiche che finiscono per costituire minacce alla pace. Tale
atteggiamento di indifferenza può anche giungere a giustificare alcune
politiche economiche deplorevoli, foriere di ingiustizie, divisioni e violenze,
in vista del conseguimento del proprio benessere o di quello della nazione. Non
di rado, infatti, i progetti economici e politici degli uomini hanno come fine
la conquista o il mantenimento del potere e delle ricchezze, anche a costo di
calpestare i diritti e le esigenze fondamentali degli altri. Quando le
popolazioni vedono negati i propri diritti elementari, quali il cibo, l’acqua,
l’assistenza sanitaria o il lavoro, esse sono tentate di procurarseli con la
forza [17].
Inoltre,
l’indifferenza nei confronti dell’ambiente naturale, favorendo la
deforestazione, l’inquinamento e le catastrofi naturali che sradicano intere
comunità dal loro ambiente di vita, costringendole alla precarietà e
all’insicurezza, crea nuove povertà, nuove situazioni di ingiustizia dalle
conseguenze spesso nefaste in termini di sicurezza e di pace sociale. Quante
guerre sono state condotte e quante ancora saranno combattute a causa della
mancanza di risorse o per rispondere all’insaziabile richiesta di risorse
naturali [18]
Dall’indifferenza alla misericordia: la conversione del cuore
5.
Quando, un anno fa, nel Messaggio per la Giornata Mondiale
della Pace “Non più
schiavi, ma fratelli”,
evocavo la prima icona biblica della fraternità umana, quella di Caino e Abele
(cfr Gen 4,1-16), era per attirare l’attenzione su come è stata tradita
questa prima fraternità. Caino e Abele sono fratelli. Provengono entrambi dallo
stesso grembo, sono uguali in dignità e creati ad immagine e somiglianza di
Dio; ma la loro fraternità creaturale si rompe. «Non soltanto Caino non
sopporta suo fratello Abele, ma lo uccide per invidia» [19]. Il fratricidio allora diventa la forma
del tradimento, e il rifiuto da parte di Caino della fraternità di Abele è la
prima rottura nelle relazioni familiari di fraternità, solidarietà e rispetto
reciproco.
Dio
interviene, allora, per chiamare l’uomo alla responsabilità nei confronti del suo
simile, proprio come fece quando Adamo ed Eva, i primi genitori, ruppero la
comunione con il Creatore. «Allora il Signore disse a Caino: “Dov’è Abele, tuo
fratello?”. Egli rispose: “Non lo so. Sono forse il guardiano di mio
fratello?”. Riprese: “Che hai fatto? La voce del sangue di tuo fratello grida a
me dal suolo!”» (Gen 4,9-10).
Caino
dice di non sapere che cosa sia accaduto a suo fratello, dice di non essere il
suo guardiano. Non si sente responsabile della sua vita, della sua sorte. Non
si sente coinvolto. È indifferente verso suo fratello, nonostante essi siano
legati dall’origine comune. Che tristezza! Che dramma fraterno, familiare,
umano! Questa è la prima manifestazione dell’indifferenza tra fratelli. Dio,
invece, non è indifferente: il sangue di Abele ha grande valore ai suoi occhi e
chiede a Caino di renderne conto. Dio, dunque, si rivela, fin dagli inizi
dell’umanità come Colui che si interessa alla sorte dell’uomo. Quando più tardi
i figli di Israele si trovano nella schiavitù in Egitto, Dio interviene
nuovamente. Dice a Mosè: «Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho
udito il suo grido a causa dei suoi sorveglianti; conosco, infatti, le sue
sofferenze. Sono sceso per liberarlo dalla mano dell’Egitto e per farlo uscire
da questo paese verso un paese bello e spazioso, verso un paese dove scorre
latte e miele» (Es 3,7-8). È importante notare i verbi che descrivono
l’intervento di Dio: Egli osserva, ode, conosce, scende, libera. Dio non è
indifferente. È attento e opera.
Allo
stesso modo, nel suo Figlio Gesù, Dio è sceso fra gli uomini, si è incarnato e
si è mostrato solidale con l’umanità, in ogni cosa, eccetto il peccato. Gesù si
identificava con l’umanità: «il primogenito tra molti fratelli» (Rm
8,29). Egli non si accontentava di insegnare alle folle, ma si preoccupava di
loro, specialmente quando le vedeva affamate (cfr Mc 6,34-44) o
disoccupate (cfr Mt 20,3). Il suo sguardo non era rivolto soltanto agli
uomini, ma anche ai pesci del mare, agli uccelli del cielo, alle piante e agli
alberi, piccoli e grandi; abbracciava l’intero creato. Egli vede, certamente,
ma non si limita a questo, perché tocca le persone, parla con loro, agisce in
loro favore e fa del bene a chi è nel bisogno. Non solo, ma si lascia
commuovere e piange (cfr Gv 11,33-44). E agisce per porre fine alla
sofferenza, alla tristezza, alla miseria e alla morte.
Gesù
ci insegna ad essere misericordiosi come il Padre (cfr Lc 6,36). Nella
parabola del buon samaritano (cfr Lc 10,29-37) denuncia l’omissione di
aiuto dinanzi all’urgente necessità dei propri simili: «lo vide e passò oltre»
(cfr Lc 10,31.32). Nello stesso tempo, mediante questo esempio, Egli
invita i suoi uditori, e in particolare i suoi discepoli, ad imparare a
fermarsi davanti alle sofferenze di questo mondo per alleviarle, alle ferite
degli altri per curarle, con i mezzi di cui si dispone, a partire dal proprio
tempo, malgrado le tante occupazioni. L’indifferenza, infatti, cerca spesso
pretesti: nell’osservanza dei precetti rituali, nella quantità di cose che bisogna
fare, negli antagonismi che ci tengono lontani gli uni dagli altri, nei
pregiudizi di ogni genere che ci impediscono di farci prossimo.
La
misericordia è il cuore di Dio. Perciò dev’essere anche il cuore di tutti
coloro che si riconoscono membri dell’unica grande famiglia dei suoi figli; un
cuore che batte forte dovunque la dignità umana – riflesso del volto di Dio
nelle sue creature – sia in gioco. Gesù ci avverte: l’amore per gli altri – gli
stranieri, i malati, i prigionieri, i senza fissa dimora, perfino i nemici – è
l’unità di misura di Dio per giudicare le nostre azioni. Da ciò dipende il
nostro destino eterno. Non c’è da stupirsi che l’apostolo Paolo inviti i
cristiani di Roma a gioire con coloro che gioiscono e a piangere con coloro che
piangono (cfr Rm 12,15), o che raccomandi a quelli di Corinto di
organizzare collette in segno di solidarietà con i membri sofferenti della
Chiesa (cfr 1 Cor 16,2-3). E san Giovanni scrive: «Se qualcuno possiede
dei beni di questo mondo e vede suo fratello nel bisogno e non ha pietà di lui,
come potrebbe l’amore di Dio essere in lui?» (1 Gv 3,17; cfr Gc
2,15-16).
Ecco
perché «è determinante per la Chiesa e per la credibilità del suo annuncio che
essa viva e testimoni in prima persona la misericordia. Il suo linguaggio e i
suoi gesti devono trasmettere misericordia per penetrare nel cuore delle
persone e provocarle a ritrovare la strada per ritornare al Padre. La prima
verità della Chiesa è l’amore di Cristo. Di questo amore, che giunge fino al
perdono e al dono di sé, la Chiesa si fa serva e mediatrice presso gli uomini.
Pertanto, dove la Chiesa è presente, là deve essere evidente la misericordia
del Padre. Nelle nostre parrocchie, nelle comunità, nelle associazioni e nei
movimenti, insomma, dovunque vi sono dei cristiani, chiunque deve poter trovare
un’oasi di misericordia» [20].
Così,
anche noi siamo chiamati a fare dell’amore, della compassione, della
misericordia e della solidarietà un vero programma di vita, uno stile di
comportamento nelle nostre relazioni gli uni con gli altri [21]. Ciò richiede la conversione del cuore:
che cioè la grazia di Dio trasformi il nostro cuore di pietra in un cuore di
carne (cfr Ez 36,26), capace di aprirsi agli altri con autentica
solidarietà. Questa, infatti, è molto più che un «sentimento di vaga
compassione o di superficiale intenerimento per i mali di tante persone, vicine
o lontane» [22]. La solidarietà «è la determinazione
ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune: ossia per il bene di
tutti e di ciascuno perché tutti siamo veramente responsabili di tutti» [23], perché la compassione scaturisce dalla
fraternità.
Così
compresa, la solidarietà costituisce l’atteggiamento morale e sociale che
meglio risponde alla presa di coscienza delle piaghe del nostro tempo e
dell’innegabile inter-dipendenza che sempre più esiste, specialmente in un mondo
globalizzato, tra la vita del singolo e della sua comunità in un determinato
luogo e quella di altri uomini e donne nel resto del mondo [24].
Promuovere una cultura di solidarietà e misericordia per vincere
l’indifferenza
6.
La solidarietà come virtù morale e atteggiamento sociale, frutto della
conversione personale, esige un impegno da parte di una molteplicità di
soggetti, che hanno responsabilità di carattere educativo e formativo.
Il
mio primo pensiero va alle famiglie, chiamate ad una missione educativa
primaria ed imprescindibile. Esse costituiscono il primo luogo in cui si vivono
e si trasmettono i valori dell’amore e della fraternità, della convivenza e
della condivisione, dell’attenzione e della cura dell’altro. Esse sono anche
l’ambito privilegiato per la trasmissione della fede, cominciando da quei primi
semplici gesti di devozione che le madri insegnano ai figli [25].
Per
quanto riguarda gli educatori e i formatori che, nella scuola o nei diversi
centri di aggregazione infantile e giovanile, hanno l’impegnativo compito di
educare i bambini e i giovani, sono chiamati ad essere consapevoli che la loro
responsabilità riguarda le dimensioni morale, spirituale e sociale della
persona. I valori della libertà, del rispetto reciproco e della solidarietà
possono essere trasmessi fin dalla più tenera età. Rivolgendosi ai responsabili
delle istituzioni che hanno compiti educativi, Benedetto XVI affermava: «Ogni
ambiente educativo possa essere luogo di apertura al trascendente e agli altri;
luogo di dialogo, di coesione e di ascolto, in cui il giovane si senta
valorizzato nelle proprie potenzialità e ricchezze interiori, e impari ad
apprezzare i fratelli. Possa insegnare a gustare la gioia che scaturisce dal
vivere giorno per giorno la carità e la compassione verso il prossimo e dal
partecipare attivamente alla costruzione di una società più umana e fraterna» [26].
Anche
gli operatori culturali e dei mezzi di comunicazione sociale hanno
responsabilità nel campo dell’educazione e della formazione, specialmente nelle
società contemporanee, in cui l’accesso a strumenti di informazione e di
comunicazione è sempre più diffuso. E’ loro compito innanzitutto porsi al
servizio della verità e non di interessi particolari. I mezzi di comunicazione,
infatti, «non solo informano, ma anche formano lo spirito dei loro destinatari
e quindi possono dare un apporto notevole all’educazione dei giovani. È
importante tenere presente che il legame tra educazione e comunicazione è
strettissimo: l’educazione avviene, infatti, per mezzo della comunicazione, che
influisce, positivamente o negativamente, sulla formazione della persona» [27]. Gli operatori culturali e dei media
dovrebbero anche vigilare affinché il modo in cui si ottengono e si diffondono
le informazioni sia sempre giuridicamente e moralmente lecito.
La pace: frutto di una cultura di solidarietà, misericordia e
compassione
7.
Consapevoli della minaccia di una globalizzazione dell’indifferenza, non
possiamo non riconoscere che, nello scenario sopra descritto, si inseriscono
anche numerose iniziative ed azioni positive che testimoniano la compassione,
la misericordia e la solidarietà di cui l’uomo è capace. Vorrei ricordare
alcuni esempi di impegno lodevole, che dimostrano come ciascuno possa vincere
l’indifferenza quando sceglie di non distogliere lo sguardo dal suo prossimo, e
che costituiscono buone pratiche nel cammino verso una società più umana.
Ci
sono tante organizzazioni non governative e gruppi caritativi, all’interno
della Chiesa e fuori di essa, i cui membri, in occasione di epidemie, calamità
o conflitti armati, affrontano fatiche e pericoli per curare i feriti e gli
ammalati e per seppellire i defunti. Accanto ad essi, vorrei menzionare le
persone e le associazioni che portano soccorso ai migranti che attraversano
deserti e solcano mari alla ricerca di migliori condizioni di vita. Queste azioni
sono opere di misericordia corporale e spirituale, sulle quali saremo giudicati
al termine della nostra vita.
Il
mio pensiero va anche ai giornalisti e fotografi che informano l’opinione
pubblica sulle situazioni difficili che interpellano le coscienze, e a coloro
che si impegnano per la difesa dei diritti umani, in particolare quelli delle
minoranze etniche e religiose, dei popoli indigeni, delle donne e dei bambini,
e di tutti coloro che vivono in condizioni di maggiore vulnerabilità. Tra loro
ci sono anche tanti sacerdoti e missionari che, come buoni pastori, restano
accanto ai loro fedeli e li sostengono nonostante i pericoli e i disagi, in
particolare durante i conflitti armati.
Quante
famiglie, poi, in mezzo a tante difficoltà lavorative e sociali, si impegnano
concretamente per educare i loro figli “controcorrente”, a prezzo di tanti
sacrifici, ai valori della solidarietà, della compassione e della fraternità!
Quante famiglie aprono i loro cuori e le loro case a chi è nel bisogno, come ai
rifugiati e ai migranti! Voglio ringraziare in modo particolare tutte le
persone, le famiglie, le parrocchie, le comunità religiose, i monasteri e i
santuari, che hanno risposto prontamente al mio appello ad accogliere una
famiglia di rifugiati [28].
Infine,
vorrei menzionare i giovani che si uniscono per realizzare progetti di
solidarietà, e tutti coloro che aprono le loro mani per aiutare il prossimo
bisognoso nelle proprie città, nel proprio Paese o in altre regioni del mondo.
Voglio ringraziare e incoraggiare tutti coloro che si impegnano in azioni di
questo genere, anche se non vengono pubblicizzate: la loro fame e sete di
giustizia sarà saziata, la loro misericordia farà loro trovare misericordia e,
in quanto operatori di pace, saranno chiamati figli di Dio (cfr Mt
5,6-9).
La pace nel segno del Giubileo della Misericordia
8.
Nello spirito del Giubileo della Misericordia, ciascuno è chiamato a riconoscere
come l’indifferenza si manifesta nella propria vita e ad adottare un impegno
concreto per contribuire a migliorare la realtà in cui vive, a partire dalla
propria famiglia, dal vicinato o dall’ambiente di lavoro.
Anche
gli Stati sono chiamati a gesti concreti, ad atti di coraggio nei confronti
delle persone più fragili delle loro società, come i prigionieri, i migranti, i
disoccupati e i malati.
Per
quanto concerne i detenuti, in molti casi appare urgente adottare misure
concrete per migliorare le loro condizioni di vita nelle carceri, accordando
un’attenzione speciale a coloro che sono privati della libertà in attesa di
giudizio [29], avendo a mente la finalità rieducativa
della sanzione penale e valutando la possibilità di inserire nelle legislazioni
nazionali pene alternative alla detenzione carceraria. In questo contesto,
desidero rinnovare l’appello alle autorità statali per l’abolizione della pena
di morte, là dove essa è ancora in vigore, e a considerare la possibilità di
un’amnistia.
Per
quanto riguarda i migranti, vorrei rivolgere un invito a ripensare le
legislazioni sulle migrazioni, affinché siano animate dalla volontà di
accoglienza, nel rispetto dei reciproci doveri e responsabilità, e possano
facilitare l’integrazione dei migranti. In questa prospettiva, un’attenzione
speciale dovrebbe essere prestata alle condizioni di soggiorno dei migranti,
ricordando che la clandestinità rischia di trascinarli verso la criminalità.
Desidero,
inoltre, in quest’Anno giubilare, formulare un pressante appello ai
responsabili degli Stati a compiere gesti concreti in favore dei nostri
fratelli e sorelle che soffrono per la mancanza di lavoro, terra e tetto. Penso
alla creazione di posti di lavoro dignitoso per contrastare la piaga sociale
della disoccupazione, che investe un gran numero di famiglie e di giovani ed ha
conseguenze gravissime sulla tenuta dell’intera società. La mancanza di lavoro
intacca pesantemente il senso di dignità e di speranza, e può essere compensata
solo parzialmente dai sussidi, pur necessari, destinati ai disoccupati e alle
loro famiglie. Un’attenzione speciale dovrebbe essere dedicata alle donne –
purtroppo ancora discriminate in campo lavorativo – e ad alcune categorie di
lavoratori, le cui condizioni sono precarie o pericolose e le cui retribuzioni
non sono adeguate all’importanza della loro missione sociale.
Infine,
vorrei invitare a compiere azioni efficaci per migliorare le condizioni di vita
dei malati, garantendo a tutti l’accesso alle cure mediche e ai farmaci
indispensabili per la vita, compresa la possibilità di cure domiciliari.
Volgendo
lo sguardo al di là dei propri confini, i responsabili degli Stati sono anche
chiamati a rinnovare le loro relazioni con gli altri popoli, permettendo a
tutti una effettiva partecipazione e inclusione alla vita della comunità
internazionale, affinché si realizzi la fraternità anche all’interno della
famiglia delle nazioni.
In
questa prospettiva, desidero rivolgere un triplice appello ad astenersi dal
trascinare gli altri popoli in conflitti o guerre che ne distruggono non solo
le ricchezze materiali, culturali e sociali, ma anche – e per lungo tempo –
l’integrità morale e spirituale; alla cancellazione o alla gestione sostenibile
del debito internazionale degli Stati più poveri; all’adozione di politiche di
cooperazione che, anziché piegarsi alla dittatura di alcune ideologie, siano
rispettose dei valori delle popolazioni locali e che, in ogni caso, non siano
lesive del diritto fondamentale ed inalienabile dei nascituri alla vita.
Affido
queste riflessioni, insieme con i migliori auspici per il nuovo anno,
all’intercessione di Maria Santissima, Madre premurosa per i bisogni
dell’umanità, affinché ci ottenga dal suo Figlio Gesù, Principe della Pace,
l’esaudimento delle nostre suppliche e la benedizione del nostro impegno
quotidiano per un mondo fraterno e solidale.
Dal Vaticano, 8 dicembre 2015
Solennità dell’Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria
Apertura del Giubileo Straordinario della Misericordia
Solennità dell’Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria
Apertura del Giubileo Straordinario della Misericordia
FRANCISCUS