da “Avvenire”
I
primi 38 martiri del regime comunista albanese sono beati.
La proclamazione nella Cattedrale di Scutari, durante la Messa
presieduta dal cardinale Angelo Amato, prefetto dela Congregazione per
le Cause dei Santi. Subito dopo aver scoperto l'arazzo che li raffigura, è
stato il prossimo cardinale, don Ernest Simoni, anch'egli perseguitato
dalla dittatura e finito in carcere per 28 anni, a portare ai piedi
dell'immagine l'urna contenente le reliquie. Un grande applauso ha sottolineato
il commovente momento.
Questa
beatificazione – ha detto Amato all'omelia - “ricorda a tutti che sulla terra
il bene è continuamente osteggiato dal male. Ma non sono i persecutori, bensì i
martiri gli autentici protagonisti della storia dell'umanità”. Essi “hanno
mostrato verso i nemici – ha aggiunto il porporato – gli stessi sentimenti e
atteggiamenti di Cristo: perdono, lealtà, fortezza, fraternità, misericordia.
Diventano in tal modo la bussola salutare per il nostro retto orientamento
verso il porto del bene, che è il regno di Dio da edificare anche su questa
terra”.
Alla
celebrazione hanno preso parte decine di migliaia di fedeli. Gremita la
Cattedrale, che il regime aveva trasformato in palazzetto dello sport, gremito
anche il sagrato antistante e le vie laterali. Insieme con il cardinale Amato
hanno concelebrato il presidente della Cei e del Ccee, cardinale Bagnasco, i
cardinali Crescenzio Sepe (Napoli), Salvatore De Giorgi (emerito di Palermo) e
Rainer Maria Woelki (Colonia), oltre naturalmente al “padrone di casa”,
monsignor Angelo Massafra, arcivescovo di Scutari-Pult, e una trentina di
vescovi provenienti da tutta Europa (numerosi gli italiani, tra i quali gli
arcivescovi di Bari-Bitonto, Francesco Cacucci, di Taranto, Filippo Santoro, di
Potenza-Muro Lucano-Marsico Nuovo, Salvatore Ligorio, e il vescovo di
Teramo-Atri, Michele Seccia).
Presenti
anche numerosi parenti dei nuovi beati, tra i quali i nipoti di monsignor
Vincent Prennushi, arcivescovo di Durazzo, che ne è il capofila. In
rappresentanza delle istituzioni pubbliche il presidente del Parlamento di
Tirana e cinque ministri. Hanno anche presenziato esponenti ortodossi e
musulmani.
“Desidero
benedire e ringraziare il Signore per tutto questo e, insieme con voi,
implorare la forza dello Spirito Santo per questa piccola Chiesa in terra di
Albania – ha detto monsignor Massafra al termine della celebrazione -. Siamo un
piccolo resto, ma dal cuore grande e, perciò disponibile a quanto il Signore
richiederà da noi”.
Chi
sono i nuovi beati della Chiesa di Albania
Nell'elenco
dei 38 martiri figurano 2 vescovi, 21 sacerdoti diocesani, sette francescani,
tre gesuiti, quattro laici (tra i quali una donna) e un seminarista. La loro
morte è compresa tra il 1945, data della prima esecuzione e il 1974, anno
dell'ultima. Numerosi altri sacerdoti e laici persero la vita sotto il regime
comunista. Monsignor Massafra ha auspicato che presto giunga anche per loro il
riconoscimento del martirio.
«È un
martirio corale di una Chiesa e abbraccia quasi l’intero periodo delle
persecuzioni, poiché il primo a morire fu il sacerdote Lazer Shantoja il
3 marzo 1945, mentre l’ultimo (un altro sacerdote), Mikel Beltoja, trovò
la morte il 10 febbraio 1974» ha spiegato Padre Giovangiuseppe Califano,
postulatore della causa. Naturalmente «coloro che furono perseguitati erano
molti di più, ma queste erano le figure più luminose, quelle sulle quali si
potevano trovare delle prove inconfutabili sul martirio in odium fidei. Erano
inoltre le persone più in vista sotto il profilo intellettuale e culturale. Il
regime, dunque, li eliminò subito (solo sette su 38 furono uccisi dopo il 1950)
perché essi potevano formare le coscienze e mettere in guardia dai pericoli del
comunismo».
Lo fecero
senz’altro i due vescovi Prennushi e Gjini,
i quali risposero al
tentativo del regime di costituire una Chiesa staccata da Roma con la
perentoria affermazione: «Non separeremo mai il nostro gregge dal Papa».
Lo
fece anche il seminarista Mark Cuni, che con altri compagni e alcuni
professori dette vita all’Unione albanese, movimento non violento per allertare
la popolazione in occasione delle prime elezioni dopo la guerra. Pagò con la
fucilazione, insieme con due gesuiti: Daniel Dajani e Giovanni Fausti,
quest’ultimo di origine italiana.
Commovente
è la storia di Maria Tuci, l’unica donna fra i 38, laica. Resistette con
forza alla violenza carnale dei suoi persecutori, ma fu letteralmente sfigurata
in volto (lei che viene descritta come molto bella), al punto che i parenti
ebbero difficoltà a riconoscerla. Non tutti furono fucilati, alcuni morirono di
stenti in carcere o in seguito alle percosse e alle torture. Praticamente tutti
però perdonando i loro persecutori.