Avvisi
18-25 gennaio: conclusione della SETTIMANA DI
PREGHIERA PER L’UNITA’
DEI CRISTIANI sul tema: “Dammi da bere”
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Sabato 24 gennaio - ore
20.30: 3° incontro di preparazione al matrimonio sacramento
Domenica prossima 1°
febbraio: GIORNATA NAZIONALE PER LA VITA sul tema:
“Solidali per la vita”
“Solidali per la vita”
24 gennaio :Giornata delle
comunicazioni sociali sul tema “Comunicare in famiglia”
Messaggio
Comunicare la
famiglia: ambiente
privilegiato dell’incontro
nella gratuità dell’amore
Il tema della famiglia
è al centro di un’approfondita riflessione ecclesiale e di un processo sinodale
che prevede due Sinodi, uno straordinario – appena celebrato – ed uno ordinario, convocato per il prossimo
ottobre. In tale contesto, ho ritenuto opportuno che il tema della prossima
Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali avesse come punto di riferimento
la famiglia. La famiglia è del resto il primo luogo dove impariamo a
comunicare. Tornare a questo momento originario ci può aiutare sia a rendere la
comunicazione più autentica e umana, sia a guardare la famiglia da un nuovo
punto di vista.
Possiamo lasciarci
ispirare dall’icona evangelica della visita di Maria ad Elisabetta (Lc
1,39-56). «Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò
nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce:
“Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo!”» (vv. 41-42).
Anzitutto, questo
episodio ci mostra la comunicazione come un dialogo che si intreccia con il
linguaggio del corpo. La prima risposta al saluto di Maria la dà infatti il
bambino, sussultando gioiosamente nel grembo di Elisabetta. Esultare per la
gioia dell’incontro è in un certo senso l’archetipo e il simbolo di ogni altra
comunicazione, che impariamo ancora prima di venire al mondo. Il grembo che ci
ospita è la prima “scuola” di comunicazione, fatta di ascolto e di contatto
corporeo, dove cominciamo a familiarizzare col mondo esterno in un ambiente
protetto e al suono rassicurante del battito del cuore della mamma. Questo
incontro tra due esseri insieme così intimi e ancora così estranei l’uno
all’altra, un incontro pieno di promesse, è la nostra prima esperienza di
comunicazione. Ed è un'esperienza che ci accomuna tutti, perché ciascuno di noi
è nato da una madre.
Anche dopo essere
venuti al mondo restiamo in un certo senso in un “grembo”, che è la famiglia.
Un grembo fatto di persone diverse, in relazione: la famiglia è il «luogo dove
si impara a convivere nella differenza» (Esort. ap. Evangelii gaudium,
66). Differenze di
generi e di generazioni, che comunicano prima di tutto perché si accolgono a
vicenda, perché tra loro esiste un vincolo. E più largo è il ventaglio di
queste relazioni, più sono diverse le età, e più ricco è il nostro ambiente di
vita. È il legame che sta a fondamento della parola, che a sua volta rinsalda
il legame. Le parole non le inventiamo: le possiamo usare perché le abbiamo
ricevute. E’ in famiglia che si impara a parlare nella “lingua materna”, cioè
la lingua dei nostri antenati (cfr 2 Mac 7,25.27). In famiglia si percepisce
che altri ci hanno preceduto, ci hanno messo nella condizione di esistere e di
potere a nostra volta generare vita e fare qualcosa di buono e di bello.
Possiamo dare perché abbiamo ricevuto, e questo circuito virtuoso sta al cuore
della capacità della famiglia di comunicarsi e di comunicare; e, più in
generale, è il paradigma di ogni comunicazione.
L’esperienza del legame
che ci “precede” fa sì che la famiglia sia anche il contesto in cui si
trasmette quella forma fondamentale di comunicazione che è la preghiera. Quando
la mamma e il papà fanno addormentare i loro bambini appena nati, molto spesso
li affidano a Dio, perché vegli su di essi; e quando sono un po’ più grandi
recitano insieme con loro semplici preghiere, ricordando con affetto anche
altre persone, i nonni, altri parenti, i malati e i sofferenti, tutti coloro
che hanno più bisogno dell’aiuto di Dio. Così, in famiglia, la maggior parte di
noi ha imparato la dimensione religiosa della comunicazione, che nel
cristianesimo è tutta impregnata di amore, l’amore di Dio che si dona a noi e
che noi offriamo agli altri.
Nella famiglia è
soprattutto la capacità di abbracciarsi, sostenersi, accompagnarsi, decifrare
gli sguardi e i silenzi, ridere e piangere insieme, tra persone che non si sono
scelte e tuttavia sono così importanti l’una per l’altra, a farci capire che
cosa è veramente la comunicazione come scoperta e costruzione di prossimità. Ridurre
le distanze, venendosi incontro a vicenda e accogliendosi, è motivo di
gratitudine e gioia: dal saluto di Maria e dal sussulto del bambino scaturisce
la benedizione di Elisabetta, a cui segue il bellissimo cantico del Magnificat,
nel quale Maria loda il disegno d’amore di Dio su di lei e sul suo popolo. Da
un “sì” pronunciato con fede scaturiscono conseguenze che vanno ben oltre noi
stessi e si espandono nel mondo. “Visitare” comporta aprire le porte, non
rinchiudersi nei propri appartamenti, uscire, andare verso l’altro. Anche la
famiglia è viva se respira aprendosi oltre sé stessa, e le famiglie che fanno
questo possono comunicare il loro messaggio di vita e di comunione, possono
dare conforto e speranza alle famiglie più ferite, e far crescere la Chiesa
stessa, che è famiglia di famiglie. La famiglia è più di
ogni altro il luogo in cui, vivendo insieme nella quotidianità, si sperimentano
i limiti propri e altrui, i piccoli e grandi problemi della coesistenza,
dell’andare d’accordo. Non esiste la famiglia
perfetta, ma non
bisogna avere paura dell’imperfezione, della fragilità, nemmeno dei conflitti;
bisogna imparare ad affrontarli in maniera costruttiva. Per questo la famiglia
in cui, con i propri limiti e peccati, ci si vuole bene, diventa una scuola di
perdono. Il perdono è una dinamica di comunicazione, una comunicazione che si
logora, che si spezza e che, attraverso il pentimento espresso e accolto, si
può riannodare e far crescere. Un bambino che in famiglia impara ad ascoltare
gli altri, a parlare in modo rispettoso, esprimendo il proprio punto di vista
senza negare quello altrui, sarà nella società un costruttore di dialogo e di
riconciliazione.
A proposito di limiti e
comunicazione, hanno tanto da insegnarci le famiglie con figli segnati da una o
più disabilità. Il deficit motorio, sensoriale o intellettivo è sempre una
tentazione a chiudersi; ma può diventare, grazie all’amore dei genitori, dei
fratelli e di altre persone amiche, uno stimolo ad aprirsi, a condividere, a
comunicare in modo inclusivo; e può aiutare la scuola, la parrocchia, le
associazioni a diventare più accoglienti verso tutti, a non escludere nessuno.
In un mondo, poi, dove
così spesso si maledice, si parla male, si semina zizzania, si inquina con le
chiacchiere il nostro ambiente umano, la famiglia può essere una scuola di
comunicazione come benedizione. E questo anche là dove sembra prevalere
l’inevitabilità dell’odio e della violenza, quando le famiglie sono separate
tra loro da muri di pietra o dai muri non meno impenetrabili del pregiudizio e
del risentimento, quando sembrano esserci buone ragioni per dire “adesso
basta”; in realtà, benedire anziché maledire, visitare anziché respingere,
accogliere anziché combattere è l’unico modo per spezzare la spirale del male,
per testimoniare che il bene è sempre possibile, per educare i figli alla
fratellanza.
Oggi i media più
moderni, che soprattutto per i più giovani sono ormai irrinunciabili, possono
sia ostacolare che aiutare la comunicazione in famiglia e tra famiglie. La
possono ostacolare se diventano un modo di sottrarsi all’ascolto, di isolarsi
dalla compresenza fisica, con la saturazione di ogni momento di silenzio e di
attesa disimparando che «il silenzio è parte integrante della comunicazione e
senza di esso non esistono parole dense di contenuto» (Benedetto XVI, Messaggio per la
46ª G.M. delle Comunicazioni Sociali, 24.1.2012). La possono favorire se aiutano a raccontare e
condividere, a restare in contatto con i lontani, a ringraziare e chiedere
perdono, a rendere sempre di nuovo possibile l’incontro. Riscoprendo
quotidianamente questo centro vitale che è l’incontro, questo “inizio vivo”,
noi sapremo orientare il nostro rapporto con le tecnologie, invece che farci
guidare da esse. Anche in questo campo, i genitori sono i primi educatori. Ma
non vanno lasciati soli; la comunità cristiana è chiamata ad affiancarli perché
sappiano insegnare ai figli a vivere nell’ambiente comunicativo secondo i
criteri della dignità della persona umana e del bene comune.
La sfida che oggi ci si
presenta è, dunque, reimparare a raccontare, non semplicemente a produrre e
consumare informazione. E’ questa la direzione verso cui ci spingono i potenti
e preziosi mezzi della comunicazione contemporanea. L’informazione è importante
ma non basta, perché troppo spesso semplifica, contrappone le differenze e le
visioni diverse sollecitando a schierarsi per l’una o l’altra, anziché favorire
uno sguardo d’insieme.Anche la famiglia, in
conclusione, non è un oggetto sul quale si comunicano delle opinioni o un
terreno sul quale combattere battaglie ideologiche, ma un ambiente in cui si
impara a comunicare nella prossimità e un soggetto che comunica, una “comunità
comunicante”. Una comunità che sa accompagnare, festeggiare e fruttificare. In
questo senso è possibile ripristinare uno sguardo capace di riconoscere che la
famiglia continua ad essere una grande risorsa, e non solo un problema o un’istituzione
in crisi. I media tendono a volte a presentare la famiglia come se fosse un
modello astratto da accettare o rifiutare, da difendere o attaccare, invece che
una realtà concreta da vivere; o come se fosse un’ideologia di qualcuno contro
qualcun altro, invece che il luogo dove tutti impariamo che cosa significa
comunicare nell’amore ricevuto e donato. Raccontare significa invece
comprendere che le nostre vite sono intrecciate in una trama unitaria, che le
voci sono molteplici e ciascuna è insostituibile. La famiglia più bella,
protagonista e non problema, è quella che sa comunicare, partendo dalla
testimonianza, la bellezza e la ricchezza del rapporto tra uomo e donna, e di
quello tra genitori e figli. Non lottiamo per difendere il passato, ma
lavoriamo con pazienza e fiducia, in tutti gli ambienti che quotidianamente
abitiamo, per costruire il futuro.
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Catechismo
28 gennaio: catechismo ragazzi di 2a media
ore
20.30: incontro genitori dei ragazzi di
2a media
31 gennaio: 2a e 4a elementare
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Dal
Vangelo secondo Marco
(3a domenica
anno B)
Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea,
proclamando il vangelo di Dio, e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio
è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo».
Passando lungo il mare di
Galilea, vide Simone e Andrea, fratello di Simone, mentre gettavano le reti in
mare; erano infatti pescatori. Gesù disse loro: «Venite dietro a me, vi farò
diventare pescatori di uomini». E subito lasciarono le reti e lo seguirono.
Andando un poco oltre, vide Giacomo, figlio di Zebedèo, e Giovanni suo
fratello, mentre anch’essi nella barca riparavano le reti. E subito li chiamò.
Ed essi lasciarono il loro padre Zebedèo nella barca con i garzoni e andarono
dietro a lui.
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preghiera
(3a
domenica anno B)
O
|
ra è giunto il momento, non c’è più tempo per
attendere: tu dai inizio ad un mondo nuovo e ognuno
deve prendere posizione, accoglierti, cambiare vita oppure rifiutarti ed ignorare la tua offerta di grazia. È la grande responsabilità che ognuno di noi si assume, Gesù: in fondo tu non obblighi nessuno, ma fai appello alla sua libertà.
deve prendere posizione, accoglierti, cambiare vita oppure rifiutarti ed ignorare la tua offerta di grazia. È la grande responsabilità che ognuno di noi si assume, Gesù: in fondo tu non obblighi nessuno, ma fai appello alla sua libertà.
Quel giorno tu sei passato per il lago di
Tiberiade e hai chiesto a quei pescatori, intenti nel loro lavoro, di mollare
tutto e di seguirti. Quel giorno non
potevano sapere quanto la loro vita sarebbe stata trasformata, a cosa sarebbero
andati incontro, per quali strade li avresti condotti. Tu ti saresti servito di
loro per raggiungere gli uomini nel bel mezzo delle loro angustie, delle loro
fatiche, dei loro smarrimenti e strapparli al disorientamento, al potere del male, a tutto ciò che mortifica
l'esistenza. Ancor oggi, Gesù, tu
passi per le nostre case e le nostre strade, per i diversi ambienti di lavoro e ci chiedi di fidarti di te, di
prendere sul serio la tua proposta, di sporcarci le mani per un mondo nuovo.