Via Mantova, 44- 37019 Peschiera (d.G.). Tel. 045.75. 51.400 parroco: don Attilio Bonato (ottobre 2009).
mercoledì 31 dicembre 2014
1° gennaio 2015
Maria SS. Madre di Dio
+ Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, [i
pastori] andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino,
adagiato nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino
era stato detto loro.
Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette
loro dai pastori. Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole
nel suo cuore.
I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto
quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro.
Quando furono
compiuti gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome
Gesù, come era stato chiamato dall’angelo prima che fosse concepito nel
grembo.
O Sanctissima: coro polifonico
MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO PER LA
XLVIII
GIORNATA MONDIALE DELLA PACE - 1° GENNAIO 2015
MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO PER LA
XLVIII GIORNATA
MONDIALE DELLA PACE -
1° GENNAIO 2015
1° GENNAIO 2015
NON
PIÚ SCHIAVI, MA FRATELLI
1.
All’inizio di un nuovo anno, che accogliamo come una grazia e un dono di Dio
all’umanità, desidero rivolgere, ad ogni uomo e donna, così come ad ogni popolo
e nazione del mondo, ai capi di Stato e di Governo e ai responsabili delle
diverse religioni, i miei fervidi auguri di pace, che accompagno con la mia
preghiera affinché cessino le guerre, i conflitti e le tante sofferenze
provocate sia dalla mano dell’uomo sia da vecchie e nuove epidemie e dagli
effetti devastanti delle calamità naturali. Prego in modo particolare perché,
rispondendo alla nostra comune vocazione di collaborare con Dio e con tutti gli
uomini di buona volontà per la promozione della concordia e della pace nel
mondo, sappiamo resistere alla tentazione di comportarci in modo non degno
della nostra umanità.
Nel messaggio
per il 1° gennaio scorso, avevo osservato che al «desiderio di una vita
piena … appartiene un anelito insopprimibile alla fraternità, che sospinge
verso la comunione con gli altri, nei quali troviamo non nemici o concorrenti,
ma fratelli da accogliere ed abbracciare».[1] Essendo l’uomo un essere
relazionale, destinato a realizzarsi nel contesto di rapporti interpersonali
ispirati a giustizia e carità, è fondamentale per il suo sviluppo che siano
riconosciute e rispettate la sua dignità, libertà e autonomia. Purtroppo, la
sempre diffusa piaga dello sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo ferisce
gravemente la vita di comunione e la vocazione a tessere relazioni
interpersonali improntate a rispetto, giustizia e carità. Tale abominevole
fenomeno, che conduce a calpestare i diritti fondamentali dell’altro e ad
annientarne la libertà e dignità, assume molteplici forme sulle quali desidero
brevemente riflettere, affinché, alla luce della Parola di Dio, possiamo
considerare tutti gli uomini “non più schiavi, ma fratelli”.
In ascolto del progetto di Dio sull’umanità
2. Il
tema che ho scelto per il presente messaggio richiama la Lettera di san Paolo a
Filemone, nella quale l’Apostolo chiede al suo collaboratore di accogliere
Onesimo, già schiavo dello stesso Filemone e ora diventato cristiano e, quindi,
secondo Paolo, meritevole di essere considerato un fratello. Così scrive
l’Apostolo delle genti: «E’ stato separato da te per un momento: perché tu lo
riavessi per sempre; non più però come schiavo, ma molto più che schiavo, come
fratello carissimo» (Fm 15-16). Onesimo è diventato fratello di Filemone
diventando cristiano. Così la conversione a Cristo, l’inizio di una vita di
discepolato in Cristo, costituisce una nuova nascita (cfr 2 Cor 5,17; 1 Pt 1,3)
che rigenera la fraternità quale vincolo fondante della vita familiare e
basamento della vita sociale.
Nel
Libro della Genesi (cfr 1,27-28) leggiamo che Dio creò l’uomo maschio e femmina
e li benedisse, affinché crescessero e si moltiplicassero: Egli fece di Adamo
ed Eva dei genitori, i quali, realizzando la benedizione di Dio di essere
fecondi e moltiplicarsi, generarono la prima fraternità, quella di Caino e
Abele. Caino e Abele sono fratelli, perché provengono dallo stesso grembo, e
perciò hanno la stessa origine, natura e dignità dei loro genitori creati ad
immagine e somiglianza di Dio.
Ma la
fraternità esprime anche la molteplicità e la differenza che esiste tra i
fratelli, pur legati per nascita e aventi la stessa natura e la stessa dignità.
In quanto fratelli e sorelle, quindi, tutte le persone sono per natura in
relazione con le altre, dalle quali si differenziano ma con cui condividono la
stessa origine, natura e dignità. E’ in forza di ciò che la fraternità
costituisce la rete di relazioni fondamentali per la costruzione della famiglia
umana creata da Dio.
Purtroppo,
tra la prima creazione narrata nel Libro della Genesi e la nuova nascita in
Cristo, che rende i credenti fratelli e sorelle del «primogenito tra molti
fratelli» (Rm 8,29), vi è la realtà negativa del peccato, che più volte
interrompe la fraternità creaturale e continuamente deforma la bellezza e la
nobiltà dell’essere fratelli e sorelle della stessa famiglia umana. Non soltanto
Caino non sopporta suo fratello Abele, ma lo uccide per invidia commettendo il
primo fratricidio. «L’uccisione di Abele da parte di Caino attesta tragicamente
il rigetto radicale della vocazione ad essere fratelli. La loro vicenda (cfr
Gen 4,1-16) evidenzia il difficile compito a cui tutti gli uomini sono
chiamati, di vivere uniti, prendendosi cura l’uno dell’altro».[2]
Anche
nella storia della famiglia di Noè e dei suoi figli (cfr Gen 9,18-27), è
l’empietà di Cam nei confronti del padre Noè che spinge quest’ultimo a maledire
il figlio irriverente e a benedire gli altri, quelli che lo avevano onorato,
dando luogo così a una disuguaglianza tra fratelli nati dallo stesso grembo.
Nel
racconto delle origini della famiglia umana, il peccato di allontanamento da Dio,
dalla figura del padre e dal fratello diventa un’espressione del rifiuto della
comunione e si traduce nella cultura dell’asservimento (cfr Gen 9,25-27), con
le conseguenze che ciò implica e che si protraggono di generazione in
generazione: rifiuto dell’altro, maltrattamento delle persone, violazione della
dignità e dei diritti fondamentali, istituzionalizzazione di diseguaglianze. Di
qui, la necessità di una conversione continua all’Alleanza, compiuta
dall’oblazione di Cristo sulla croce, fiduciosi che «dove abbondò il peccato,
sovrabbondò la grazia … per mezzo di Gesù Cristo» (Rm 5,20.21). Egli, il Figlio
amato (cfr Mt 3,17), è venuto per rivelare l’amore del Padre per l’umanità.
Chiunque ascolta il Vangelo e risponde all’appello alla conversione diventa per
Gesù «fratello, sorella e madre» (Mt 12,50), e pertanto figlio adottivo di suo
Padre (cfr Ef 1,5).
Non
si diventa però cristiani, figli del Padre e fratelli in Cristo, per una
disposizione divina autoritativa, senza l’esercizio della libertà personale,
cioè senza convertirsi liberamente a Cristo. L’essere figlio di Dio segue
l’imperativo della conversione: «Convertitevi e ciascuno di voi si faccia
battezzare nel nome di Gesù Cristo, per il perdono dei vostri peccati, e
riceverete il dono dello Spirito Santo» (At 2,38). Tutti quelli che hanno
risposto con la fede e la vita a questa predicazione di Pietro sono entrati
nella fraternità della prima comunità cristiana (cfr 1 Pt 2,17; At 1,15.16;
6,3; 15,23): ebrei ed ellenisti, schiavi e uomini liberi (cfr 1 Cor 12,13; Gal
3,28), la cui diversità di origine e stato sociale non sminuisce la dignità di
ciascuno né esclude alcuno dall’appartenenza al popolo di Dio. La comunità
cristiana è quindi il luogo della comunione vissuta nell’amore tra i fratelli
(cfr Rm 12,10; 1 Ts 4,9; Eb 13,1; 1 Pt 1,22; 2 Pt 1,7).
Tutto
ciò dimostra come la Buona Novella di Gesù Cristo, mediante il quale Dio fa
«nuove tutte le cose» (Ap 21,5)[3], sia anche capace di redimere le
relazioni tra gli uomini, compresa quella tra uno schiavo e il suo padrone,
mettendo in luce ciò che entrambi hanno in comune: la filiazione adottiva e il
vincolo di fraternità in Cristo. Gesù stesso disse ai suoi discepoli: «Non vi
chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho
chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto
conoscere a voi» (Gv 15,15).
I molteplici volti della schiavitù ieri e oggi
3.
Fin da tempi immemorabili, le diverse società umane conoscono il fenomeno
dell’asservimento dell’uomo da parte dell’uomo. Ci sono state epoche nella
storia dell’umanità in cui l’istituto della schiavitù era generalmente
accettato e regolato dal diritto. Questo stabiliva chi nasceva libero e chi,
invece, nasceva schiavo, nonché in quali condizioni la persona, nata libera,
poteva perdere la propria libertà, o riacquistarla. In altri termini, il
diritto stesso ammetteva che alcune persone potevano o dovevano essere
considerate proprietà di un’altra persona, la quale poteva liberamente disporre
di esse; lo schiavo poteva essere venduto e comprato, ceduto e acquistato come
se fosse una merce.
Oggi,
a seguito di un’evoluzione positiva della coscienza dell’umanità, la schiavitù,
reato di lesa umanità,[4] è stata formalmente abolita nel
mondo. Il diritto di ogni persona a non essere tenuta in stato di schiavitù o
servitù è stato riconosciuto nel diritto internazionale come norma
inderogabile.
Eppure,
malgrado la comunità internazionale abbia adottato numerosi accordi al fine di
porre un termine alla schiavitù in tutte le sue forme e avviato diverse
strategie per combattere questo fenomeno, ancora oggi milioni di persone –
bambini, uomini e donne di ogni età – vengono private della libertà e costrette
a vivere in condizioni assimilabili a quelle della schiavitù.
Penso
a tanti lavoratori e lavoratrici, anche minori, asserviti nei diversi settori,
a livello formale e informale, dal lavoro domestico a quello agricolo, da
quello nell’industria manifatturiera a quello minerario, tanto nei Paesi in cui
la legislazione del lavoro non è conforme alle norme e agli standard minimi
internazionali, quanto, sia pure illegalmente, in quelli la cui legislazione
tutela il lavoratore.
Penso
anche alle condizioni di vita di molti migranti che, nel loro drammatico
tragitto, soffrono la fame, vengono privati della libertà, spogliati dei loro
beni o abusati fisicamente e sessualmente. Penso a quelli tra di loro che,
giunti a destinazione dopo un viaggio durissimo e dominato dalla paura e
dall’insicurezza, sono detenuti in condizioni a volte disumane. Penso a quelli
tra loro che le diverse circostanze sociali, politiche ed economiche spingono
alla clandestinità, e a quelli che, per rimanere nella legalità, accettano di
vivere e lavorare in condizioni indegne, specie quando le legislazioni
nazionali creano o consentono una dipendenza strutturale del lavoratore
migrante rispetto al datore di lavoro, ad esempio condizionando la legalità del
soggiorno al contratto di lavoro… Sì, penso al “lavoro schiavo”.
Penso
alle persone costrette a prostituirsi, tra cui ci sono molti minori, ed alle
schiave e agli schiavi sessuali; alle donne forzate a sposarsi, a quelle
vendute in vista del matrimonio o a quelle trasmesse in successione ad un
familiare alla morte del marito senza che abbiano il diritto di dare o non dare
il proprio consenso.
Non
posso non pensare a quanti, minori e adulti, sono fatti oggetto di traffico e
di mercimonio per l’espianto di organi, per essere arruolati come soldati, per
l’accattonaggio, per attività illegali come la produzione o vendita di
stupefacenti, o per forme mascherate di adozione internazionale.
Penso
infine a tutti coloro che vengono rapiti e tenuti in cattività da gruppi terroristici,
asserviti ai loro scopi come combattenti o, soprattutto per quanto riguarda le
ragazze e le donne, come schiave sessuali. Tanti di loro spariscono, alcuni
vengono venduti più volte, seviziati, mutilati, o uccisi.
Alcune cause profonde della schiavitù
4.
Oggi come ieri, alla radice della schiavitù si trova una concezione della
persona umana che ammette la possibilità di trattarla come un oggetto. Quando
il peccato corrompe il cuore dell’uomo e lo allontana dal suo Creatore e dai
suoi simili, questi ultimi non sono più percepiti come esseri di pari dignità,
come fratelli e sorelle in umanità, ma vengono visti come oggetti. La persona
umana, creata ad immagine e somiglianza di Dio, con la forza, l’inganno o la
costrizione fisica o psicologica viene privata della libertà, mercificata,
ridotta a proprietà di qualcuno; viene trattata come un mezzo e non come un
fine.
Accanto
a questa causa ontologica – rifiuto dell’umanità nell’altro –, altre cause
concorrono a spiegare le forme contemporanee di schiavitù. Tra queste, penso
anzitutto alla povertà, al sottosviluppo e all’esclusione, specialmente quando
essi si combinano con il mancato accesso all’educazione o con una realtà
caratterizzata da scarse, se non inesistenti, opportunità di lavoro. Non di rado,
le vittime di traffico e di asservimento sono persone che hanno cercato un modo
per uscire da una condizione di povertà estrema, spesso credendo a false
promesse di lavoro, e che invece sono cadute nelle mani delle reti criminali
che gestiscono il traffico di esseri umani. Queste reti utilizzano abilmente le
moderne tecnologie informatiche per adescare giovani e giovanissimi in ogni
parte del mondo.
Anche
la corruzione di coloro che sono disposti a tutto per arricchirsi va annoverata
tra le cause della schiavitù. Infatti, l’asservimento ed il traffico delle
persone umane richiedono una complicità che spesso passa attraverso la
corruzione degli intermediari, di alcuni membri delle forze dell’ordine o di
altri attori statali o di istituzioni diverse, civili e militari. «Questo
succede quando al centro di un sistema economico c’è il dio denaro e non
l’uomo, la persona umana. Sì, al centro di ogni sistema sociale o economico
deve esserci la persona, immagine di Dio, creata perché fosse il dominatore
dell’universo. Quando la persona viene spostata e arriva il dio denaro si
produce questo sconvolgimento di valori».[5]
Altre
cause della schiavitù sono i conflitti armati, le violenze, la criminalità e il
terrorismo. Numerose persone vengono rapite per essere vendute, oppure
arruolate come combattenti, oppure sfruttate sessualmente, mentre altre si
trovano costrette a emigrare, lasciando tutto ciò che possiedono: terra, casa,
proprietà, e anche i familiari. Queste ultime sono spinte a cercare
un’alternativa a tali condizioni terribili anche a rischio della propria
dignità e sopravvivenza, rischiando di entrare, in tal modo, in quel circolo
vizioso che le rende preda della miseria, della corruzione e delle loro
perniciose conseguenze.
Un impegno comune per sconfiggere la schiavitù
5.
Spesso, osservando il fenomeno della tratta delle persone, del traffico
illegale dei migranti e di altri volti conosciuti e sconosciuti della
schiavitù, si ha l’impressione che esso abbia luogo nell’indifferenza generale.
Se
questo è, purtroppo, in gran parte vero, vorrei ricordare l’enorme lavoro
silenzioso che molte congregazioni religiose, specialmente femminili, portano
avanti da tanti anni in favore delle vittime. Tali istituti operano in contesti
difficili, dominati talvolta dalla violenza, cercando di spezzare le catene
invisibili che tengono legate le vittime ai loro trafficanti e sfruttatori;
catene le cui maglie sono fatte sia di sottili meccanismi psicologici, che
rendono le vittime dipendenti dai loro aguzzini, tramite il ricatto e la
minaccia ad essi e ai loro cari, ma anche attraverso mezzi materiali, come la
confisca dei documenti di identità e la violenza fisica. L’azione delle
congregazioni religiose si articola principalmente intorno a tre opere: il
soccorso alle vittime, la loro riabilitazione sotto il profilo psicologico e
formativo e la loro reintegrazione nella società di destinazione o di origine.
Questo
immenso lavoro, che richiede coraggio, pazienza e perseveranza, merita
apprezzamento da parte di tutta la Chiesa e della società. Ma esso da solo non
può naturalmente bastare per porre un termine alla piaga dello sfruttamento
della persona umana. Occorre anche un triplice impegno a livello istituzionale
di prevenzione, di protezione delle vittime e di azione giudiziaria nei
confronti dei responsabili. Inoltre, come le organizzazioni criminali
utilizzano reti globali per raggiungere i loro scopi, così l’azione per
sconfiggere questo fenomeno richiede uno sforzo comune e altrettanto globale da
parte dei diversi attori che compongono la società.
Gli
Stati dovrebbero vigilare affinché le proprie legislazioni nazionali sulle
migrazioni, sul lavoro, sulle adozioni, sulla delocalizzazione delle imprese e
sulla commercializzazione di prodotti realizzati mediante lo sfruttamento del
lavoro siano realmente rispettose della dignità della persona. Sono necessarie
leggi giuste, incentrate sulla persona umana, che difendano i suoi diritti
fondamentali e li ripristinino se violati, riabilitando chi è vittima e
assicurandone l’incolumità, nonché meccanismi efficaci di controllo della
corretta applicazione di tali norme, che non lascino spazio alla corruzione e
all’impunità.E’ necessario anche che venga riconosciuto il ruolo della donna
nella società, operando anche sul piano culturale e della comunicazione per
ottenere i risultati sperati. Le organizzazioni intergovernative, conformemente
al principio di sussidiarietà, sono chiamate ad attuare iniziative coordinate
per combattere le reti transnazionali del crimine organizzato che gestiscono la
tratta delle persone umane ed il traffico illegale dei migranti. Si rende
necessaria una cooperazione a diversi livelli, che includa cioè le istituzioni
nazionali ed internazionali, così come le organizzazioni della società civile
ed il mondo imprenditoriale.
Le
imprese[6], infatti, hanno il dovere di garantire ai loro impiegati
condizioni di lavoro dignitose e stipendi adeguati, ma anche di vigilare
affinché forme di asservimento o traffico di persone umane non abbiano luogo
nelle catene di distribuzione. Alla responsabilità sociale dell’impresa si
accompagna poi la responsabilità sociale del consumatore. Infatti, ciascuna
persona dovrebbe avere la consapevolezza che «acquistare è sempre un atto
morale, oltre che economico».[7]
Le
organizzazioni della società civile, dal canto loro, hanno il compito di
sensibilizzare e stimolare le coscienze sui passi necessari a contrastare e
sradicare la cultura dell’asservimento.
Negli
ultimi anni, la Santa Sede, accogliendo il grido di dolore delle vittime della
tratta e la voce delle congregazioni religiose che le accompagnano verso la
liberazione, ha moltiplicato gli appelli alla comunità internazionale affinché
i diversi attori uniscano gli sforzi e cooperino per porre termine a questa
piaga.[8] Inoltre, sono stati organizzati alcuni incontri allo scopo di
dare visibilità al fenomeno della tratta delle persone e di agevolare la
collaborazione tra diversi attori, tra cui esperti del mondo accademico e delle
organizzazioni internazionali, forze dell’ordine di diversi Paesi di
provenienza, di transito e di destinazione dei migranti, e rappresentanti dei
gruppi ecclesiali impegnati in favore delle vittime. Mi auguro che questo
impegno continui e si rafforzi nei prossimi anni.
Globalizzare la fraternità, non la schiavitù né
l’indifferenza
6.
Nella sua opera di «annuncio della verità dell’amore di Cristo nella società»[9],
la Chiesa si impegna costantemente nelle azioni di carattere caritativo a
partire dalla verità sull’uomo. Essa ha il compito di mostrare a tutti il cammino
verso la conversione, che induca a cambiare lo sguardo verso il prossimo, a
riconoscere nell’altro, chiunque sia, un fratello e una sorella in umanità, a
riconoscerne la dignità intrinseca nella verità e nella libertà, come ci
illustra la storia di Giuseppina
Bakhita, la
santa originaria della regione del Darfur in Sudan, rapita da trafficanti di
schiavi e venduta a padroni feroci fin dall’età di nove anni, e diventata poi,
attraverso dolorose vicende, “libera figlia di Dio” mediante la fede vissuta
nella consacrazione religiosa e nel servizio agli altri, specialmente i piccoli
e i deboli. Questa Santa, vissuta fra il XIX e il XX secolo, è anche oggi
testimone esemplare di speranza[10] per le numerose vittime della
schiavitù e può sostenere gli sforzi di tutti coloro che si dedicano alla
lotta contro questa «piaga nel corpo dell’umanità contemporanea, una piaga
nella carne di Cristo».[11]
In questa
prospettiva, desidero invitare ciascuno, nel proprio ruolo e nelle proprie
responsabilità particolari, a operare gesti di fraternità nei confronti di
coloro che sono tenuti in stato di asservimento. Chiediamoci come noi, in
quanto comunità o in quanto singoli, ci sentiamo interpellati quando, nella
quotidianità, incontriamo o abbiamo a che fare con persone che potrebbero
essere vittime del traffico di esseri umani, o quando dobbiamo scegliere se
acquistare prodotti che potrebbero ragionevolmente essere stati realizzati
attraverso lo sfruttamento di altre persone. Alcuni di noi, per indifferenza, o
perché distratti dalle preoccupazioni quotidiane, o per ragioni economiche,
chiudono un occhio. Altri, invece, scelgono di fare qualcosa di positivo, di
impegnarsi nelle associazioni della società civile o di compiere piccoli gesti
quotidiani – questi gesti hanno tanto valore! – come rivolgere una parola, un
saluto, un “buongiorno” o un sorriso, che non ci costano niente ma che possono
dare speranza, aprire strade, cambiare la vita ad una persona che vive
nell’invisibilità, e anche cambiare la nostra vita nel confronto con questa
realtà.
Dobbiamo
riconoscere che siamo di fronte ad un fenomeno mondiale che supera le
competenze di una sola comunità o nazione. Per sconfiggerlo, occorre una
mobilitazione di dimensioni comparabili a quelle del fenomeno stesso. Per
questo motivo lancio un pressante appello a tutti gli uomini e le donne di
buona volontà, e a tutti coloro che, da vicino o da lontano, anche ai più alti livelli
delle istituzioni, sono testimoni della piaga della schiavitù contemporanea, di
non rendersi complici di questo male, di non voltare lo sguardo di fronte alle
sofferenze dei loro fratelli e sorelle in umanità, privati della libertà e
della dignità, ma di avere il coraggio di toccare la carne sofferente di Cristo[12],
che si rende visibile attraverso i volti innumerevoli di coloro che Egli stesso
chiama «questi miei fratelli più piccoli» (Mt 25,40.45).
Sappiamo
che Dio chiederà a ciascuno di noi: “Che cosa hai fatto del tuo fratello?” (cfr
Gen 4,9-10). La globalizzazione dell’indifferenza, che oggi pesa sulle vite di
tante sorelle e di tanti fratelli, chiede a tutti noi di farci artefici di una
globalizzazione della solidarietà e della fraternità, che possa ridare loro la
speranza e far loro riprendere con coraggio il cammino attraverso i problemi
del nostro tempo e le prospettive nuove che esso porta con sé e che Dio pone
nelle nostre mani. Dal Vaticano, 8
dicembre 2014
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