martedì 19 agosto 2014

IL PAPA IN COREA DEL SUD

VIAGGIO APOSTOLICO DI PAPA  FRANCESCO NELLA REPUBBLICA DI COREA 






IN OCCASIONE DELLA VI GIORNATA DELLA GIOVENTÙ ASIATICA (13-18 AGOSTO 2014) - SANTA MESSA PER LA PACE E LA RICONCILIAZIONE- OMELIA DEL PAPACattedrale di Myeong-dong (Seoul) - Lunedì, 18 agosto 2014
Cari fratelli e sorelle, 
la mia permanenza in Corea si avvia al termine e non posso che ringraziare Dio per le molte benedizioni che ha concesso a questo amato Paese e, in maniera particolare, alla Chiesa in Corea. Tra queste benedizioni conservo specialmente l'esperienza, vissuta insieme in questi ultimi giorni, della presenza di tanti giovani pellegrini provenienti da tutte le parti dell'Asia. Il loro amore per Gesù e il loro entusiasmo per la diffusione del suo Regno sono stati un'ispirazione per tutti.La mia visita ora culmina in questa celebrazione della Santa Messa, in cui imploriamo da Dio la grazia della pace e della riconciliazione. Tale preghiera ha una particolare risonanza nella penisola coreana. La Messa di oggi è soprattutto e principalmente una preghiera per la riconciliazione in questa famiglia coreana. Nel Vangelo, Gesù ci dice quanto potente sia la nostra preghiera quando due o tre sono uniti nel suo nome per chiedere qualcosa (cfr Mt 18,19-20). Quanto più quando un intero popolo innalza la sua accorata supplica al cielo! La prima lettura presenta la promessa di Dio di restaurare nell'unità e nella prosperità un popolo disperso dalla sciagura e dalla divisione. Per noi, come per il popolo di Israele, questa è una promessa piena di speranza: indica un futuro che fin d'ora Dio sta preparando per noi. Tuttavia questa promessa è inseparabilmente legata ad un comando: il comando di ritornare a Dio e di obbedire con tutto il cuore alla sua legge (cfr Dt 30,2-3). Il dono divino della riconciliazione, dell'unità e della pace è inseparabilmente legato alla grazia della conversione: si tratta di una trasformazione del cuore che può cambiare il corso della nostra vita e della nostra storia, come individui e come popolo. In questa Messa, naturalmente ascoltiamo tale promessa nel contesto dell'esperienza storica del popolo coreano, un'esperienza di divisione e di conflitto che dura da oltre sessant'anni. Ma il pressante invito di Dio alla conversione chiama anche i seguaci di Cristo in Corea ad esaminare la qualità del loro contributo alla costruzione di una società giusta e umana. Chiama ciascuno di voi a riflettere su quanto, come individui e come comunità, testimoniate un impegno evangelico per i disagiati, per gli emarginati, per quanti non hanno lavoro o sono esclusi dalla prosperità di molti. Vi chiama, come cristiani e come coreani, a respingere con fermezza una mentalità fondata sul sospetto, sul contrasto e sulla competizione, e a favorire piuttosto una cultura plasmata dall'insegnamento del Vangelo e dai più nobili valori tradizionali del popolo coreano. Nel Vangelo di oggi, Pietro chiede al Signore: «Se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». Il Signore risponde: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette» (Mt 18,21-22). Queste parole vanno al cuore del messaggio di riconciliazione e di pace indicato da Gesù. In obbedienza al suo comando, chiediamo quotidianamente al nostro Padre celeste di perdonare i nostri peccati, «come noi li rimettiamo ai nostri debitori». Se non fossimo pronti a fare altrettanto, come potremmo onestamente pregare per la pace e la riconciliazione? Gesù ci chiede di credere che il perdono è la porta che conduce alla riconciliazione. Nel comandare a noi di perdonare i nostri fratelli senza alcuna riserva, Egli ci chiede di fare qualcosa di totalmente radicale, ma ci dona anche la grazia per farlo. Quanto, da una prospettiva umana, sembra essere impossibile, impercorribile e perfino talvolta ripugnante, Gesù lo rende possibile e fruttuoso attraverso l'infinita potenza della sua croce. La croce di Cristo rivela il potere di Dio di colmare ogni divisione, di sanare ogni ferita e di ristabilire gli originali legami di amore fraterno. Questo, dunque, è il messaggio che vi lascio a conclusione della mia visita in Corea. Abbiate fiducia nella potenza della croce di Cristo! Accogliete la sua grazia riconciliatrice nei vostri cuori e condividetela con gli altri! Vi chiedo di portare una testimonianza convincente del messaggio di riconciliazione di Cristo nelle vostre case, nelle vostre comunità e in ogni ambito della vita nazionale. Ho fiducia che, in uno spirito di amicizia e di cooperazione con gli altri cristiani, con i seguaci di altre religioni e con tutti gli uomini e le donne di buona volontà che hanno a cuore il futuro della società coreana, voi sarete lievito del Regno di Dio in questa terra. Allora le nostre preghiere per la pace e la riconciliazione saliranno a Dio da cuori più puri e, per il suo dono di grazia, otterranno quel bene prezioso a cui tutti aspiriamo.Preghiamo dunque per il sorgere di nuove opportunità di dialogo, di incontro e di superamento delle differenze, per una continua generosità nel fornire assistenza umanitaria a quanti sono nel bisogno, e per un riconoscimento sempre più ampio della realtà che tutti i coreani sono fratelli e sorelle, membri di un'unica famiglia e di un unico popolo. Parlano la stessa lingua. Prima di lasciare la Corea, vorrei ringraziare la Signora Presidente della Repubblica, Park Geun-Hye, le Autorità civili ed ecclesiastiche e tutti coloro che in qualsiasi forma hanno aiutato a rendere possibile questa visita. In special modo, vorrei rivolgere una parola di personale riconoscenza ai sacerdoti della Corea, che quotidianamente lavorano al servizio del Vangelo e alla costruzione del Popolo di Dio nella fede, nella speranza e nella carità. Chiedo a voi, quali ambasciatori di Cristo e ministri del suo amore di riconciliazione (cfr 2 Cor 5,18-20), di continuare a costruire legami di rispetto, di fiducia e di armoniosa cooperazione nelle vostre parrocchie, tra di voi e con i vostri Vescovi. Il vostro esempio di amore senza riserve per il Signore, la vostra fedeltà e dedizione al ministero, come pure il vostro impegno caritatevole per quanti si trovano nel bisogno, contribuiscono grandemente all'opera di riconciliazione e di pace in questo Paese.Cari fratelli e sorelle, Dio ci chiama a ritornare a Lui e ad ascoltare la sua voce e promette di stabilirci sulla terra in una pace e prosperità maggiori di quanto i nostri antenati abbiano mai conosciuto. Possano i seguaci di Cristo in Corea preparare l'alba di quel nuovo giorno, quando questa terra del calmo mattino godrà le più ricche benedizioni divine di armonia e di pace! Amen. 

l Papa è atterrato a Roma poco prima delle 18.00 di ritorno dal suo terzo viaggio apostolico che lo portato in Corea. Subito dopo l’arrivo è andato a Santa Maria Maggiore per portare alla statua della Madonna un mazzo di fiori donato da una bambina coreana. Sull’aereo Francesco ha parlato con i giornalisti dei momenti più importanti di questo viaggio, delle emozioni provate in diversi incontri, ma anche dell’attualità internazionale dall’Iraq al  Medio Oriente. La sintesi nel servizio di Gabriella Ceraso:
Il pensiero al popolo coreano apre e chiude sostanzialmente il dialogo articolato in sedici domande che il Papa ha tenuto con i giornalisti ma è stata l’attualità internazionale ad irrompere tra gli argomenti. Innanzitutto l’Iraq: l’approvazione o meno del bombardamento americano e un ipotetico viaggio del Papa nel Paese. “Sono disposto ad andare”, rivela Francesco, “ma in questo momento non è la cosa migliore da fare”, e poi ribadisce: “è lecito fermare l’aggressore ingiusto”, fermare, "non dico bombardare", chiarisce, e quindi “valutare i mezzi con cui farlo”:Fermare l’aggressore ingiusto è lecito.  Ma dobbiamo avere memoria, pure, di quante volte sotto questa scusa di fermare l’aggressore ingiusto le potenze si sono impadronite dei popoli e hanno fatto una vera guerra di conquista! Una sola nazione non può giudicare come si ferma questo, come si ferma un aggressore ingiusto. 
Poi la guerra in Medio oriente. Inutile dunque la preghiera di giugno, con Abu Mazen e Peres, in Vaticano? Gli si chiede. Quell’iniziativa “nata da uomini che credono in Dio” “assolutamente non è stata un fallimento”, risponde il Papa: senza preghiera, non c’è negoziato né dialogo, spiega, dunque è stata “un passo fondamentale di atteggiamento umano”. “Credo che la porta sia stata aperta”: Adesso il fumo delle bombe, delle guerre non lasciano vedere la porta, ma la porta è rimasta aperta da quel momento. E io credo in Dio, io credo che il Signore guardi quella porta e quanti pregano e quanti chiedono che Lui ci aiuti.

Le emozioni provate incontrando tanti testimoni di sofferenza in Corea sono l’occasione poi per il Papa per parlare degli effetti della guerra. Nell’abbraccio con le anziane donne superstiti della deportazione in Giappone nella seconda guerra mondiale, Francesco rivela di aver visto il dolore dell’intero popolo coreano, diviso, umiliato, invaso eppure forte nella sua dignità. Da qui il monito al mondo: “dobbiamo fermarci a pensare un po’ al livello di crudeltà al quale siamo arrivati” e poi le parole forti sulla tortura, usata, dice Francesco, "nei processi giudiziari e dall’intelligence" :La tortura è un peccato contro l’umanità, è un delitto contro l’umanità e ai cattolici io dico: “Torturare una persona è peccato mortale, è peccato grave!”. Ma è di più: è un peccato contro l’umanità. 

 Sollecitato dai giornalisti il pensiero del Papa torna anche sulla disponibilità al dialogo con il popolo cinese, definito “bello, nobile e saggio”; "la Santa Sede tiene aperti i contatti” dice Francesco che rivela la voglia di compiere anche subito un viaggio in Cina. 

C'è anche una domanda sul processo di beatificazione dell’arcivescovo di San Salvador, mons. Oscar Arnulfo Romero, "sbloccato", spiega il Papa, che esprime l’auspicio che ora, per questo " uomo di Dio", tutto “si chiarisca e si proceda in fretta”. Poi le immancabili domande sui viaggi previsti nel 2015: è certa la tappa a Philadelphia, per l’incontro mondiale delle famiglie, cui si potrebbero aggiungere New York e Washington. Probabili poi il Messico e la Spagna. Infine le tante curiosità dei giornalisti sul privato: la vita "normale" condotta a Santa Marta, le vacanze all'insegna di un “ritmo diverso” di vita con più lettura, più riposo e più musica e infine il rapporto con Benedetto XVI, un rapporto "fraterno" fatto di confronto continuo di opinioni. La scelta che ne fa oggi un Papa emerito "ha aperto", afferma Francesco, una “porta che è istituzionale, non eccezionale":

Perché la nostra vita si allunga e ad una certa età non c’è la capacità di governare bene, perché il corpo si stanca … ma, la salute forse è buona, ma non c’è la capacità di portare avanti tutti i problemi di un governo come quello della Chiesa. E io credo che Papa Benedetto XVI ha fatto questo gesto dei Papi emeriti. Ripeto: forse qualche teologo mi dirà che questo non è giusto, ma io la penso così. I secoli diranno se è così o no. Vediamo. Ma lei potrà dirmi: “E se lei non se la sentirà, un giorno, di andare avanti?”. Ma, farei lo stesso! Farei lo stesso. Pregherò, molto ma farei lo stesso.