martedì 8 gennaio 2013



LA RIVELAZIONE SECONDO IL CONCILIO VATICANO II

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2. L'essenza della rivelazione secondo la Dei Verbum

II titolo offre già la chiave dell'unità tematica del documento: «Costituzione dogmatica sulla divina rivelazione». La rivelazione è divina, perché ha Dio come origine e come oggetto: Dio rivela se stesso. È dogmatica, perché promulga una dottrina: il concilio «intende proporre la genuina dottrina sulla divina rivelazione e sulla sua trasmissione» (Proemio). Ha quindi un suo proprio carattere che la distingue dai decreti, dalle dichiarazioni e dalle costituzioni pastorali.
Il n. 2 contiene una descrizione degli aspetti essenziali della rivelazione.


a) L'origine

La sorgente della rivelazione è Dio, che per sua iniziativa gratuita, derivante dalla sua bontà e sapienza, decide di rivelarsi. Diversamente dal Vaticano I, che tratta innanzitutto della manifestazione di Dio mediante le creature e poi della rivelazione storica, il Vaticano II incomincia subito con la rivelazione personale di Dio e della salvezza. La prospet-
riva è rovesciata. La rivelazione è essenzialmente iniziativa gratuita di Dio e opera di grazia. Essa sfugge a ogni esigenza e a ogni costrizione dell'uomo, in quanto opera di amore che procede dalla bontà e dalla sapienza di Dio.
Il Vaticano II riprende qui gli stessi termini del Vaticano I invertendoli: al primo posto viene collocata la bontà di Dio e poi la sua sapienza. La rivelazione risponde quindi non a una decisione arbitraria di Dio, ma a un suo piano provvidenziale, a un'economia di salvezza.


b) Soggetto

L'oggetto della rivelazione è Dio stesso (carattere personale e soggettivo della rivelazione). Egli non è soltanto colui alla cui libera iniziativa si deve questo evento, ma ne è il contenuto e il fine. La rivelazione è reale e personale autocomunicazione di Dio. Al tempo stesso egli rivela anche il mistero della sua volontà salvifica, cioè il disegno divino grazie al quale gli «uomini, mediante il Cristo, Verbo fatto carne, hanno accesso al Padre nello Spirito Santo e sono resi partecipi della natura divina» (n. 2).
La rivelazione appare così come un'azione trinitaria: azione del Padre, che ne ha l'iniziativa; azione del Figlio, inviato dal Padre per rivelare agli uomini la loro condizione di figli e invitarli a questa vita; azione dello Spirito Santo, che trasforma il cuore dell'uomo in cuore filiale e rende effettivo il dono della rivelazione. Identica al movimento della Trinità nella storia della salvezza, essa congiunge in sé il dono della conoscenza e quello della vita divina.
Questo triplice carattere personalista, trinitario e cristocentrico conferisce alla concezione della rivelazione del Vaticano II una ricchezza che la distingue da quella del Vaticano I, integrandola.


e) La natura

L'evento della rivelazione realizzato dal Dio trinitario viene descritto come un incontro personale, che mira alla comunione con l'uomo. «Con questa divina rivelazione infatti Dio invisibile nel suo grande amo-
rè parla agli uomini e si intrattiene con essi, per invitarli e ammetterli alla comunione con sé» (n. 2).
Per definire la rivelazione il concilio usa l'analogia della parola: la rivelazione è dialogo, conversazione, cioè ha un carattere interpersonale e dinamico. Il carattere dialogale appariva già espresso nel titolo della costituzione Dei Verbum.

d) La finalità

Se Dio si rivela, non è per soddisfare la nostra curiosità, ma per invitarci a una comunione di vita con sé e per introdurci in essa. Questa è la finalità della rivelazione. Dio entra in comunicazione con l'uomo e lo inizia al mistero della vita trinitaria, allo scopo di «renderlo partecipe della vita divina» (n. 2).

e) La modalità storico-salvifica

In stretta connessione con questa concezione dialogica della rivelazione sta la sua forma storico-salvifica. La rivelazione di Dio nella storia non è una molteplicità incoerente di opere e di parole, ma si sviluppa secondo un piano divino che culmina in Gesù Cristo, «pienezza e mediazione di tutta la rivelazione» sia dell'Antico sia del Nuovo Testamento. Per indicare tale disegno il n. 2 della Dei Verbum usa la parola "economia", termine patristico che avvicina e in pratica identifica la rivelazione con la storia della salvezza. Economia significa progresso ordinato a un fine, dove ogni atto ed evento non sono casuali, ma procedono verso un fine preciso, voluto da Dio.
L'elemento mediatore di questa economia di rivelazione e di salvezza è duplice: avvenimenti salvifici e parole che li interpretano. Dio non si da a conoscere in un corpo di verità astratte, ma in una storia umana ricca di senso. Eventi e parole, fatto e senso sono indissociabili in questa comunicazione (n. 2). A differenza delle correnti teologiche che consideravano la rivelazione come un insieme di verità da credere (verba), a cui gli eventi fornivano soltanto una verifica sperimentale, e di quelle che all'opposto consideravano la rivelazione come pura azione
di Dio nella storia (gesta), che non ha bisogno di parole perché già univoca e chiara, il Vaticano II sottolinea invece l'intima connessione di eventi e parole. Contro ogni unilateralismo il concilio afferma che le opere «manifestano e rafforzano la dottrina e le realtà significate dalle parole, e le parole dichiarano le opere e chiariscono il mistero in esse contenuto» (n. 2). Gli eventi, pur essendo ricchi di intelligibilità, tuttavia rimangono ambigui se le parole non ne manifestano l'intima profondità e, in definitiva, il carattere salvifico.
E evidente che l'intima unione di parole ed eventi è un'unione di natura e non di tempo. Talvolta vi è simultaneità dell'awenimento e della parola, ma talvolta l'awenimento precede o segue la parola. In ogni caso l'uno è riferito all'altra a tal punto che le parole senza gli eventi sono vuote e gli eventi senza le parole rimangono in sé ambigui. Insistendo sulle opere e sulle parole come eventi costitutivi della rivelazione, il concilio ne sottolinea il carattere storico e sacramentale. Dio attua l'awenimento della salvezza e ne spiega il significato, agisce e commenta la sua azione. La Dei Verbum riconosce questa struttura sia nell'Antico sia nel Nuovo Testamento e ciò distingue la rivelazione cristiana da qualsiasi altra rivelazione filosofica o mitica.
I nn. 3 e 4 della Dei Verbum indicano quali sono - a partire dai progenitori, attraverso i Patriarchi, Mosè, i profeti e Cristo - le tappe di questo sviluppo storico della rivelazione, prima come promessa e pedagogia, poi nella sua piena realizzazione in Cristo. La rivelazione accade nella storia concreta di un popolo, e strutturando e determinando la storia di Israele si inserisce attraverso di essa nella storia di tutta l'u-manità. Perciò questa rivelazione storica si distingue dalla rivelazione che avviene nella natura, attraverso le creature, ricordata all'inizio del n. 3. La rivelazione nella creazione, denominata «perenne testimonianza di sé», della persona di Dio, è pure coestensiva a tutta la storia del-l'uomo - è una rivelazione permanente - ma non ha il carattere lineare, unico e irripetibile dell'evento storico.
Notiamo, però, che la rivelazione realizzata nella storia è messa in rapporto con la manifestazione di Dio nella realtà creata. Nel celebre testo di Rm 1,19-20, citato anche nella Dei Verbum, la costituzione rileva non soltanto la possibilità di una conoscenza naturale di Dio per mezzo della ragione umana (n. 6), come la costituzione Dei Filius del Vaticano I, ma anche e soprattutto la testimonianza che Dio da di sé stesso nelle creature. Facendo riferimento inoltre a Gv 1,3, essa ricorda che Dio crea tutte le cose per mezzo del Verbo. Grazie a queste due osservazioni (n. 3) viene stabilito un legame interno tra la rivelazione storica e la manifestazione di Dio nella creazione, invece di lasciarle come due piani sovrapposti senza relazione. Inoltre, nello stesso n. 3 mediante il termine insuper ("inoltre"), la Dei Verbum «da un lato distingue l'autorivelazione di Dio come amore salvifico dalla creazione e dalla testimonianza da essa resa a Dio; mentre, dall'altro, dicendo che essa è in corso ab initio, la dice coestensiva alla creazione e alla sua conservazione. Storia del mondo e storia della salvezza combaciano e sono coestensive». 


f) II carattere cristocentrico

II n. 4 dedicato alla persona di Cristo richiama il pensiero e il linguaggio giovanneo. Il carattere cristologico e cristocentrico della dottrina della rivelazione viene qui ampiamente illustrato e motivato. Il Cristo è insieme il mediatore e la pienezza di tutta la rivelazione (n. 2). Ciò che Dio ha fatto conoscere attraverso Mosè e i profeti era soltanto una preparazione al suo vangelo (n. 3). Nella persona di Gesù, Verbo incarnato, nelle sue parole e nelle sue opere, nella sua morte redentrice e nella sua risurrezione, Dio si è manifestato in maniera decisiva e definitiva. Attraverso i verbi consummare, compiere e per/icore vengono espressi il compimento e l'insuperabilità della rivelazione divina in Gesù Cristo (n. 4). La ragione è che Gesù è il figlio di Dio, il Verbo eterno di Dio incarnato.
Elementi costitutivi di tale rivelazione sono non soltanto le sue parole, ma anche la sua stessa presenza e manifestazione, le sue «parole e opere», i suoi «segni e miracoli», la sua «morte e risurrezione», infine «l'invio dello Spirito di verità». Gesù in questo modo compie e completa la rivelazione di Dio (compiendo per ficit) (n. 4). Dio, però, continua a parlare agli uomini di ogni tempo mediante la trasmissione viva dell'evento della rivelazione attraverso la dottrina, la vita e il culto della Chiesa (n. 8).
Infine, pur sottolineando la definitività intrastorica della rivelazione cristologica, il concilio dichiara che oltre di essa non c'è da attendersi altra rivelazione pubblica fino al suo compimento escatologico: «la manifestazione gloriosa del Signore nostro Gesù Cristo» (n. 4).


g) I destinatari

I destinatari della rivelazione sono gli uomini, a cui Dio si rivolge come ad amici (n. 2). Essi sono sollecitati ad accogliere la rivelazione nella fede, con un atto personale di obbedienza con cui ciascuno si sottomette e aderisce liberamente al Dio rivelante e alle verità da lui rivelate (nn. 5-6). Il concilio definisce la fede come un atto di abbandono a Dio che coinvolge la totalità dell'uomo (intelletto e volontà). Questa risposta dell'uomo alla rivelazione non è un semplice frutto dell'attività umana, ma dono di Dio, per cui sono necessari la grazia preveniente e coadiuvante, che muova a credere, e gli aiuti ulteriori dello Spirito Santo, che sollecitino il cuore e diano a tutti la soavità nell'adesione alla verità, perché Dio rispetta nella sua azione la libertà dell'uomo (n. 5).
Il n. 6, dal titolo "Le verità rivelate", ripropone in sintesi l'insegna-mento del Vaticano I sulla rivelazione soprannaturale, sulla conoscenza naturale di Dio e sull'aiuto offerto dalla rivelazione divina a tale conoscenza per raggiungere il suo scopo speditamente, con certezza e senza errore. Tuttavia, anche in questo caso il soggetto principale del testo resta la divina rivelazione.
L'aspetto dottrinale e oggettivo, qui appena accennato, riappare e viene ribadito nella stessa costituzione quando si tratta della trasmissione della rivelazione e anche in altri documenti conciliari come la Gaudium et spes, la Optatam totius, la Unitatis redintegratio, senza peraltro sminuire la centralità ermeneutica e teologica della concezione della rivelazione della Dei Verbum.


5. L'importanza della dottrina conciliare della rivelazione

L'importanza della dottrina conciliare è notevole e segna una svolta epocale nella storia della teologia. La rivelazione non viene intesa più solo come un insegnamento sugli eventi salvifici, ma come un'autocomunicazione di Dio, mediante parole e opere, attraverso cui l'uomo è chiamato a una comunione di vita con lui. Viene superato definitivamente il modello teoretico-istruttivo che aveva dominato la teologia dal Medioevo fino a circa la metà del Novecento. Il legame tra rivelazione e salvezza e verità viene ripristinato.
Tutto ciò porterà a concepire in maniera più adeguata l'ispirazione, l'inerranza e la storicità della Sacra Scrittura, nonché a coordinare meglio Tradizione, Scrittura e Magistero. Inoltre, l'affermazione che la rivelazione divina accompagna fin dall'inizio la storia dell'umanità (n. 3) porrà su nuove basi la teologia delle religioni e il dialogo interreligioso. Analoghe conseguenze positive ne verranno per l'ecumenismo. Tutta la teologia riceverà un grande e benefico influsso dalla Dei Verbum, ma in particolare la teologia fondamentale. Quest'ultima, proprio a partire dal Vaticano II, abbandonerà l'antica denominazione di "apologetica" per assumere definitivamente il nome di "fondamentale" e con esso una strutturazione radicalmente nuova.

da Carlo Greco, Rivelazione di Dio e ragioni della fede. Un percorso di teologia fondamentale, San Paolo, 280-287